La cucina italiana, il trucco al kajal e lo jodel svizzero entrano nel patrimonio immateriale dell’UNESCO

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La cucina italiana, il trucco al kajal e lo jodel svizzero entrano nel patrimonio immateriale dell’UNESCO
Quali sono i nuovi patrimoni immateriali UNESCO, fra tavole italiane, riti condivisi, memorie e sapori da tramandare perché sopravvivano al rischio di estinzione.

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Questa è la definizione tradotta in modo letterale della motivazione ufficiale dell’UNESCO riguardo l’iscrizione dal titolo “Il cucinare italiano, fra sostenibilità e diversità bioculturale. Un insieme culturale e sociale di tradizioni culinarie, associato all’uso di materie prime e a tecniche artigianali di preparazione del cibo. È un’attività comunitaria che enfatizza l’intimità con il cibo, il rispetto per gli ingredienti e i momenti condivisi attorno alla tavola. La pratica affonda le radici in ricette anti-spreco e nella trasmissione di sapori, competenze e memorie attraverso le generazioni. È un mezzo per connettersi con la famiglia e la comunità, sia in casa che nelle scuole, o ancora tramite festival, cerimonie e incontri sociali. Vi partecipano persone di tutte le età e generi, scambiando ricette, suggerimenti e storie, con i nonni che tramandano spesso ai nipoti i piatti tradizionali. Le conoscenze e le abilità vengono trasmesse informalmente all’interno delle famiglie e formalmente nelle scuole e nelle università. Al di là della cucina, la pratica è considerata un modo di prendersi cura di sé e degli altri, di esprimere affetto e di riscoprire le proprie radici culturali. Essa consente alle comunità di condividere la propria storia e di descrivere il mondo circostante, contribuendo inoltre a salvaguardare espressioni culturali specifiche, come la lingua e i gesti. La pratica favorisce così l’inclusione sociale, promuove il benessere e offre un canale di apprendimento continuo e intergenerazionale, rafforzando i legami, incoraggiando la condivisione e promuovendo un senso di appartenenza.”
L’Italia non è il primo Paese la cui attitudine culinaria viene riconosciuta dall’UNESCO, nel 2010 una simile iscrizione fu infatti accordata al Messico, ma in quel caso l’attenzione era realmente rivolta alla cocina tradicional mexicana, definita dall’UNESCO come “un modello culturale complesso, che comprende agricoltura, pratiche rituali, saperi antichi, tecniche culinarie e consuetudini comunitarie ancestrali”. La candidatura messicana, incentrata sul paradigma di Michoacán, metteva in luce la partecipazione collettiva all’intera filiera alimentare, dalle coltivazioni di mais, fagioli e peperoncino alle tecniche come la nixtamalizzazione, fino agli utensili tradizionali e ai significati simbolici di tortillas e tamales. Una visione radicalmente integrata della cucina come architettura sociale, simbolica e identitaria.
Il riconoscimento italiano si colloca idealmente nel solco di questa tradizione, ma con un significato diverso, non esprime infatti un singolo corpus di ricette, ma un modo di vivere la cucina come eredità condivisa e come pratica culturale viva e quindi in continua evoluzione.
Fra l'altro mentre per il Messico si parla di Mexican cuisine, con citazione di preparazioni e prodotti, per l’Italia la dicitura è Italian cooking una sfumatura che sottolinea ancor più una attitudine, l’intimità che gli Italiani hanno con il cibo.

Il New York Times fa un resoconto preciso sulle nuove tradizioni inserite dall’UNESCO nel patrimonio culturale immateriale.

Nella costellazione delle tradizioni che definiscono l’identità dei popoli, da oggi trovano posto nuove e sorprendenti consuetudini: il rito della tavola familiare in Italia, il richiamo arcaico dello jodel svizzero, il bagno nelle acque fumanti delle piscine islandesi e perfino il gesto millenario di incorniciare lo sguardo con il kohl. Tutti elementi che questa settimana l’UNESCO ha elevato a “patrimonio culturale immateriale dell’umanità”, riconoscendo il valore universale di arti, pratiche e rituali che modellano il quotidiano delle comunità.
Entrare nell’elenco non è mero prestigio, significa soprattutto beneficiare di una potente attrazione turistica e di un’inedita visibilità internazionale. Non sorprende, quindi, che quest’anno ben 77 Paesi abbiano presentato candidatura. Eppure, non manca chi guarda alla lista con una certa inquietudine, come il giornalista e scrittore Marco D’Eramo che lo scorso anno ha coniato il termine “unescocidio”, evocando l’impatto potenzialmente devastante di flussi turistici difficili da gestire.
Di tutt’altro avviso Ernesto Ottone, vicedirettore generale dell’UNESCO per la cultura, che da New Delhi, dove il Comitato intergovernativo si è riunito per valutare le nuove iscrizioni, definisce questo processo una forma “magica” di diplomazia culturale. 

Fra le iscrizioni di maggior peso simbolico spicca la cucina italiana, celebrata con iniziative in tutto il Paese, non ultima l’illuminazione del Colosseo.
Molte delle nuove iscrizioni del 2025 sono accomunate dal loro potere di creare legami sociali. In Islanda, dove ogni cittadina possiede una piscina geotermica, queste acque calde sono diventate un luogo di incontro intergenerazionale, una sorta di moderno focolare pubblico.
In altri casi, il riconoscimento UNESCO ha unito Paesi che non sempre condividono la stessa scena diplomatica. È il caso della Zaffa, processione nuziale diffusa tra Africa e Medio Oriente: nominata inizialmente da Gibuti nel 2019, ha poi raccolto il sostegno di Comore, Iraq, Giordania, Mauritania ed Emirati Arabi Uniti, ottenendo l’iscrizione nel 2025. Un rituale dai mille volti: a Gibuti la famiglia dello sposo rompe un uovo sul suo capo, mentre in Iraq un corteo di auto avanza tra lanci di fiori, dolciumi e benedizioni.
Ottone ricorda che l’obiettivo della Lista non è musealizzare le tradizioni, bensì permettere loro di evolversi.
L’High Life ghanese, nato dalle chitarre degli anni Venti, oggi vibra nelle discoteche di Accra, esempio di continuità dinamica che ha contribuito alla sua iscrizione.
In Svizzera, lo jodel, praticato da centinaia di gruppi, ma con poche decine di giovani, spera di trovare nuovo slancio nell’eco del riconoscimento internazionale.
La lista UNESCO non porta solo onori, crea economie, percorsi turistici, racconti.
Guide accompagnano i visitatori ad assistere agli spettacoli tradizionali, a esplorare mercati e bancarelle dove il patrimonio immateriale si assaggia, si osserva, si ascolta.
E intorno a tali tradizioni nasce perfino un piccolo merchandising culturale, nel 2022, per celebrare l’ingresso della baguette francese, furono prodotti francobolli “scratch-and-sniff” profumati al pane caldo.


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Ultimo aggiornamento: 12 dicembre 2025 14:38


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