A Manhattan, tra le vie dove l’alta cucina detta ancora buona parte dei codici della socialità contemporanea, stanno nascendo luoghi in cui la voce, e non stiamo parlando di quella di cantanti professionisti, diventa protagonista quanto un grande piatto. Sono i nuovi karaoke di fascia alta, ambienti studiati come lounge gastronomiche, dal design ricercato come quello di raffinati boutique hotel, progettati per emanare l’allure di luoghi dove si assaporano creazioni culinarie di altissimo livello.
Come riporta il New York Times Beatbox, nel West Village, ne è forse l’esempio più emblematico. Un tempo burger bar, oggi è un salotto notturno avvoltolato nel velluto, illuminato da led soffusi e costellato di fotografie che celebrano la scena musicale americana. Nulla a che vedere con le atmosfere stonate di un pub qualsiasi, qui tre sale private, una ospita fino a settanta persone, offrono microfoni professionali, schermi monumentali e software capaci di premiare precisione e memoria dei testi. Un Guitar Hero in scala reale, con tanto di auto-tune, perfetto per i reel, per non temere una intonazione claudicante.
La scommessa, spiegano le fondatrici Sara Goodison e Lannie Rosenfield Rydell, è sottrarre le persone all’ipnosi dei telefonini per riportarle in spazi condivisi, dove il divertimento è un rito collettivo. Un’idea che sfora anche nella ristorazione, dove l’intrattenimento diventa estensione dell’esperienza culinaria e la convivialità diventa preziosa come un signature dish.
Sara e Lannie non sono le uniche, altri ristoratori stanno seguendo la stessa strada. Simon Kim, anima di Coqodaq, raffinato tempio del pollo fritto, ha affidato a David Rockwell la progettazione di una sala karaoke che possa regalare lo stesso stupore di un piatto di un grande chef. Il risultato è un ambiente estremamente elegante che ospita un palco incastonato in 1.200 metri di cristalli Swarovski, pareti fonoassorbenti e sedute modulabili. Un investimento paragonabile a un’auto di lusso, pensato per trasformare una cena in un mini spettacolo privato.
Il fascino del karaoke “di alta gamma” non si ferma ai ristoranti. A New York e nel New Jersey compaiono suite canore in palazzi residenziali, complete di green screen per videoclip casalinghi, chitarre Fender, amplificatori Marshall, porte blindate per non turbare il vicinato. Un modo, spiegano i progettisti, per offrire ai ragazzi spazi che li allontanino almeno in parte dall’isolamento digitale, riportandoli a una socialità fatta di voci che si sovrappongono, risate e incontri dal vivo.
E poi ci sono le case private, famiglie che trasformano le vecchie taverne in micro-teatri tecnologici, dove un woofer da dodici pollici e due microfoni bastano per creare serate “leggendarie o famigerate, a seconda di chi giudica”, come ironizza un proprietario di Warwick, nello Stato di New York.
In un’epoca in cui la gastronomia esplora sempre più la dimensione esperienziale, questi nuovi karaoke diventano una metafora perfetta: luoghi dove il gusto non è solo questione di palato e papille, ma di atmosfera, partecipazione, momenti di condivisione. E se nei ristoranti la voce ritrova la stessa valenza del cibo, rimane intatto il piacere che spinge le persone a ritrovarsi, l’atavica e sempre attuale voglia di stare insieme.
Photographs Michelle Paradis / Greg Mezey








