Giuseppe Iannotti e il codice di sviluppo del Krèsios di Telese Terme
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Lo chef mancato ingegnere informatico ricompone ingredienti e tecniche con le metriche di una grande visionarietà e carismatica spavalderia


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“Gli smanettoni erediteranno la terra” disse una volta Karl Lehenbauer, fondatore negli anni 90 del primo Internet Service Provider. Non sappiamo ancora se ciò avverrà, ma è assodato che la loro attitudine alla sperimentazione è un gran valore aggiunto, non solo nell’IT.
Lo chef Giuseppe Iannotti del Krèsios di Telese Terme è un ingegnere informatico mancato che ha lasciato l’università per seguire il richiamo della cucina. Un curriculum costellato di riconoscimenti, Premio Giovane Chef, Stella Michelin, Premio Innovazione in cucina, a fronte di un unico stage, all’Alinea di Chicago. Si può definire autodidatta, ma è senza dubbio uno smanettone. Che poi il suo smanettare si applichi allo sviluppo di preparazioni da materie alimentari invece che all’elaborazione di progetti hardware e software è ininfluente. È una questione di stato mentale, che anche negli informatici è più creativo di quanto si pensi, che opera unitamente a un approccio architetturale, dove la sperimentazione gioca un ruolo predominante. Che al Krèsios prende vita nel laboratorio al piano seminterrato della struttura, dove l’acciaio disegna le forme ideate dallo stesso Iannotti, piani stondati che reggono gli strumenti di alta tecnologia pronti a supportare lo chef nel ricomporre ingredienti e tecniche in un ordine nuovo. Che ancora non esiste. Viaggiatore compulsivo, rivolto più verso Oriente, bramoso di conoscere e apprendere in giro per il mondo per poi portare in Valle Telesina i dati raccolti e codificarli con visonarietà e carismatica spavalderia nei due menu degustazione Mr Pink e Mr White. Una successione folgorante di assaggi che in alcuni casi sono veri e propri hackeraggi di grandi classici, diffusori di sferzate di piacere.

Alfredo Buonanno, il venticinquenne maître e sommelier che gestisce cantina e sala, è la dimostrazione che la competenza e il sapere si convertono simultaneamente in classe copiosa, se abbinate a dedizione e millimetrico savoir-faire. Sì perché al Krèsios sanno che l’accoglienza e la gestione della sala è una pratica scientifica, da non lasciare al caso, pensando di padroneggiarla con la semplice cortesia.
Al mood minimal dell’arredo, che accoglie all’ingresso con una avveniristica passerella di cristallo e acciaio, si aggiungono pezzi di modernariato che Giuseppe scova dai robivecchi, o oggetti di superlativo e pluripremiato design e tutto si completa nella definizione dell’identità del luogo. Come i magnifici supporti in acciaio di Crucial Detail, prossimi all’opera d’arte, che sostengono gli appetizer nel loro avvicendarsi a ritmo perfetto.



Dall’incipit del cubetto di diafana gelatina di champagne con caviale beluga, alle lamelle di mela fermentata con succo di opuntia, ricomposte a fiore sul sottilissimo stelo di acciaio, accostate a una sorprendente kombucha al pomodoro, da stemperare in acidità con la grassezza croccante della pelle di baccalà e cotenna di maiale soffiate.

I tagliolini di zucchina si imprimono della balsamicità della menta e attingono vigore gustativo dal caviale di tartufo nero.
Un omaggio scanzonato alla pizza il mini bao al vapore dall’aroma di margherita da scartare dalla carta oleata.
Il “Pollo arrosto” è una chips sottilissima e croccante di pelle di pollo dal sapore iper-concentrato.

Divertissement fra note gustative e consistenze nella sequenza: tramezzino di astice; popcorn di animella con spunzone di ketchup e caciocavallo alla piastra con confettura di limone.

Il cilindretto di melanzana fritta e marinata con miso bianco e lamponi è un boccone polposo dalla colmante tripolarità fra dolce, acido e sapido.
I cubetti di pancia di maialino arrosto si avvolgono nella soavità della polvere di rosa, con la pungente intermittenza dei semi di mostarda e subito dopo la rassicurazione della crema di ceci con ricci di mare.

Una foglia di spinacio è il contenitore del fungo shiitake selvatico arrivato da Osaka, che amplifica la terrosità e l’aromaticità con il tartufo bianco di Alba, con crème fraîche e sale di alghe. 
Lo chef ci racconta la rana pescatrice con prugna e aglio nero. “La tecnica viene definita “fermentazione calda”; la rana pescatrice viene fermentata in una miscela di sale e zucchero, viene frollata a bassa pressione in modo che si imbeva dei succhi della testa e delle ossa. Viene poi affumicata sul carbone Binchōtan, un carbone giapponese, bianco che non lascia segni, poi finita con aglio nero e prugna”. Il risultato è una texture dalla rotonda carnosità, totalmente diversa da quella consueta, quasi impossibile da riconoscere in un pesce, che peraltro pesava 4,5 kg. 
Bel match fra sapido e amaro nei cannolicchi scottati e cicoria in salsa verde, mentre tocca vette di depravazione gustativa la genovese di wagyu.

Ed è fine eleganza l’esito dell’unione fra petto d’anatra, mandorla e ciliegia.
Piatto firma di Giuseppe, ineliminiabile dalla carta a causa di moti di ribellione di clienti, lo spaghetto allo scoglio è condito con i succhi e le essenze di cinquanta pesci da cui si ricava una salsa vermiglia dai sapori Caps Lock.
È puro fanciullino pascoliano la minestrina di risoni e formaggino servita in piattini “prima infanzia” con tanto di cucchiaino in silicone. Un omaggio alla mozzarella, che viene scomposta in latte, panna, caglio e latticello di bufala, si caglia per circa una settimana fino ad ottenere un formaggio morbido con cui si cuoce la pastina come se fosse un risotto.

E con la cartellata tipica pugliese con confettura di rabarbaro e foie gras parte il percorso che si snoda fra i dessert. Si viene poi imboccati con un mix di perle di tapioca al frutto della passione e cioccolato frizzante che rivitalizza le papille. Pronte a rinfrescarsi con neve e mosto cotto.
Delicato ma di una incisiva complessità “Litchi e violette”. Alla base una ganache di cioccolato bianco e violette, sopra una sorta di grattachecca di champagne, acqua tonica e litchi. Il tutto ricoperto da spuma di litchi e zucchero alle violette.

Fra i divertimenti finali arriva un raindrop cake (o Mizu shingen mochi) di trasparentissima gelatina contenente lampone e mirtillo, cioccolatini al latte e, infilzata in un supporto a formica, icona rappresentativa del Krèsios, una pesca all’aceto e camomilla. Un mochi al cioccolato con cuore di menta, macaron al tè matcha, gelatina ai lamponi, canelé alla mela Annurca.
Dalle fauci spalancate di un ranocchio di ceramica, che chiude il percorso degustativo, sporge “Kiss me” un marshmallow frizzante, effetto Citrosodina, da suggere direttamente con le labbra dalla bocca della rana, in un simbolico bacio di commiato.


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