Lorenzo Lunghi del Ristorante Torre. Quando l’arte pervade il quotidiano di un giovane chef

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“Un collage di temi ed elementi preesistenti uniti in un'armoniosa combinazione” così l’architetto olandese Rem Koolhaas definisce Fondazione Prada, progettata con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA e inaugurata nel 2018. Un intreccio di elementi eterogenei in una pluralità di spazi, all’interno di una struttura essenzialmente lineare, in stretta connessione con le opere d’arte. La traiettoria del grande ascensore in onice rosa che conduce al ristorante Torre, all’ultimo piano dell’edificio alto sessanta metri che guarda al centro di Milano, sembra procedere in diagonale per un singolare effetto ottico. Come per la stessa struttura del palazzo, la cui base è a forma di trapezio che evolve a rettangolo nei piani superiori, con ampie sezioni triangolari che sembrano proiettarsi dalla facciata, dando vita a un gioco di illusioni spaziali che distorcono la percezione di volumi e geometrie. All’apertura delle porte ci si trova davanti alla bottigliera maestosa del cocktail bar, appoggiata alle vetrate, da cui, nelle giornate di sole si vede luccicare la Madonnina del Duomo, che domina lo skyline di Milano. E che dai mesi tiepidi si vede ancor meglio uscendo nella terrazza che si estende lungo uno dei lati dell’ambiente ristorante. Sopra i tavolini del bar due opere di Jeff Koons ottenute da cartelloni pubblicitari degli anni ‘80 e nel salottino accanto, la Testa di medusa di Lucio Fontana. Qui si sorseggiano i drink di Niccolò Avanzi, come Terra - gin scozzese, mezcal, barbabietola, lavanda; o Suono - gin, ibisco, bergamotto, tio pepe sherry, ananas, ginger, da appaiare a fagottini di spinaci e ricotta, pakora di legumi rossi e patate alla paprica; vol-au-vent all'erborinato e albicocca.
Dall’apertura del ristorante, che risale a sei anni fa, dirige la cucina il fiorentino Lorenzo Lunghi, dal rimarchevole percorso professionale costruito con determinazione e prestigiose esperienze. Il suo esordio lo vede al fianco di Fulvio Pierangelini, una leggenda dell’alta cucina italiana, per poi proseguire al Bucaniere di San Vincenzo, accanto a Pierangelini junior. Ma poi l’esigenza è di andare all’estero, per la precisione a Parigi, attratto dall’audacia culinaria di Iñaki Aizpitarte, figura chiave della bistronomia francese, con cui collabora nei celebri Le Chateaubriand e Le Dauphin. Infine, consolida la sua formazione trascorrendo cinque anni al Saturne, nel ruolo di sous chef al fianco di Sven Chartier.
Nel video, chef Lunghi ripercorre il suo percorso professionale, soprattutto riguardo cosa significhi farsi ispirare tutti i giorni da un ambiente che trasuda creatività ed estetica come la Fondazione Prada.
I coperti arrivano a ottanta, suddivisi su due livelli, il più alto ospita gli arredi del Four Seasons Restaurant di New York progettato da Philip Johnson nel 1958, mentre lo spazio affacciato alla terrazza si distingue per un design sobrio e minimale. Come nella migliore tradizione delle storiche trattorie, che omaggiavano i commensali con i celebri piatti del Buon Ricordo, anche al ristorante Torre si perpetua questa usanza. Qui però i piatti decorano una intera parete e sono creati da artisti di calibro internazionale quali Thomas Demand, Mariko Mori ed Elmgreen & Dragset. È prevista anche una alternativa più intima e privata nella sala al piano superiore del ristorante, dove, su richiesta, va in scena lo chef table, con una collezione straordinaria di antiche sedute cinesi.
Come ci ha raccontato nell’intervista, Lunghi si avvale di una formazione solida, reinterpretata con un tocco molto personale che unisce eclettismo e idee inedite. Analogamente alla visione estetica di Prada, lo chef prende le distanze da una concezione più affettata e a volte obsoleta dell’alta cucina, evitando artifici come interminabili uscite di amuse-bouche o l’ossessione per decorazioni troppo leziose. Al contrario, si concentra su un’eleganza autentica, dove la padronanza tecnica si intreccia con un estro genuino e schietto. Pur senza voler definire dogmi gastronomici, si potrebbe dire che questa sia la traiettoria più coerente e stimolante per l’evoluzione della cucina contemporanea.
Un percorso gastronomico che naviga nella memoria di ciascuno di noi, i sapori più autentici, quasi caserecci si contemporaneizzano e si affinano passando da abbinamenti audaci e inattesi.
Fin dall’avvio del menu a mano libera, lo chef esprime un’attenzione profonda per l’uso più integrale possibile dell’ingrediente. Infatti dopo la tartelletta agli ortaggi: cipolle, zucchine trombetta, broccoli, pistacchio e ricotta affumicata. Accompagnata da un pan brioche farcito con battuta di vitello, maionese alla paprica e una nota di pepe, arriva il pesce del giorno.
È un dentice declinato in tre preparazioni per valorizzarlo nella sua totalità. Lo si trova immerso in un consommé freddo, accompagnato da noci fresche che rilasciano un lieve amaro, bilanciate da ciliegie e pomodori che aggiungono dolcezza e una piacevole acidità. Il tutto può essere gustato insieme a un flatbread di patate, reso irresistibile se intinto in un burro montato all’aglio orsino.
Il Leccino aretino degli oliveti di casa Bertelli si avvinghia al pane di farina semintegrale e lievito madre, da sempre l’insuperabile esaltatore per l’olio.
Con la loro consistenza carnosa, gli asparagi bianchi vengono scottati alla brace e arrotondati da un burro montato alla camomilla e avvolti da una cremosa salsa a base di scamorza e cedro.
Il dentice, proposto in versione cruda, si accoppia alla texture vellutata dei fagioli borlotti, mentre il lardo regala profondità e un senso avvolgente al piatto.
Lo spago ritrova carattere in una crema al finocchietto selvatico, la cui delicatezza è accentuata da ricotta affumicata e bottarga, che donano una sapidità raffinata.
Seguendo la prospettiva del recupero, il collare del dentice viene brasato in una padella di rame insieme a gobbetti e sottaceti alla maremmana, offrendo una preparazione succulenta da gustare convivialmente.
Il piccione, arrostito alla brace, si accompagna a una cipolla di Tropea e fico, con una quenelle di composta di yuzu che armonizza le note dolci.
A fungere da ponte tra i sapori salati e quelli dolci arriva un gelato alla verbena, completato da yogurt e un tocco aromatico di origano. Il dessert finale chiude con una crema cotta allo yuzu, gelato al sesamo, sesamo soffiato, polline e un croccante honeycomb.