Parafernalia/Postrivoro porta la cucina di Leandro Carreira sotto gli ulivi di Scamporella
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Una scampagnata sotto gli ulivi delle colline del Cesenate e il piglio di uno chef portoghese di talento


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I beni parafernali – gli oggetti esclusi dalla dote che le promesse spose un tempo davano in gestione al marito – appartenenti a Postrivoro hanno trovato asilo per una sera d’estate sotto gli ulivi di Scamporella, sulle colline del Cesenate. Precisamente nella tenuta agricola Terre Giunchi, dove da qualche anno, nel periodo estivo, si svolge una scampagnata serale, peraltro molto imitata, con pietanze dell’alta cucina, romagnola e non solo, gustate adagiati sui cuscini a quadretti, sotto le chiome degli ulivi. Quella tra Postrivoro/Parafernalia è stata una congiunzione suggellata dalla cuisine dello chef portoghese Leandro Carreira, trasferitosi a Londra nel 2011, oggi executive chef del ristorante-pescheria The Sea, The Sea a Chelsea, ha dato l’impronta determinante al suo curriculum nei tre anni trascorsi al Mugaritz, nei Paesi Baschi. E ad oggi ha maturato un approccio al pesce in cui si amalgamano tecnica e idee che veleggiano fra Giappone e Portogallo. 

Scendendo dal caratteristico trenino trainato dal trattore, veicolo simbolo di Scamporella, la visuale che pende sulle vigne e sugli ulivi è punteggiata dai palloncini bianchi sospesi sui manici dei cestini contenenti l’aperitivo. E prima di portarli alla nostra postazione, ci fermiamo al banco dei cocktail, che per questa serata sono preparati dall’associazione e cocktail bar bolognese Scarto. Dove si sperimentano e si studiano soluzioni sostenibili per la lavorazione degli ingredienti alla base di drink e finger. Per iniziare scegliamo un Martinez, che nella prospettiva di Scarto si miscela anche a lavanda, olive e ciliegie per accompagnare gli appetizer del nostro cestino. Che contiene una pannocchia di mais arrostito da addentare, che oltre ad essere imburrata è addolcita dal miele e aromatizzata al timo. Gamberi rosa leggermente amaricanti perché conditi con olio all’alloro. E che ci fanno entrare nel vivo dell’esperienza bucolica, un salamino e una formina di formaggio di produttori locali. 



Il quarto di cespo di una fresca lattuga cappuccina scrocchia piacevolmente al morso per la farcitura di svariate qualità di cereali innestati fra le foglie che aggiungono una alternanza di note di tostatura alla base vegetale.

È sfrontatamente bold il sapore che sprigiona la terrina di maialino di cinta senese di Alfredo Angeli, che non abbisogna d’altro se non di un accompagnamento di ortaggi lievemente acidulati da una leggera marinatura. 

Un omaggio alla piada romagnola è la pita ornata con squacquerone, scalogno e aceto.
Di una semplicità sorprendente, che denota il talento manifesto di Carreira, il baccalà sfogliato aggregato a straccetti di uovo morbido, patate, cipolle e erbe aromatiche. 

L’intenso aroma di aglio, seppur attraente, emanato dallo sgombro cotto in modo esemplare alla griglia, avvolto in una salsa di aglio bruciato, lasciava presagire che avrebbe impregnato la materia gassosa dell’espirazione di ciascun commensale fino al giorno seguente. Ma con nostra felice sorpresa scopriamo la mattina successiva che non è così e che di quella pungenza satura di sapore ha beneficiato solo il momento della degustazione. 

Uno spesso e croccante waffle da inzuppare copiosamente in una sopraffina crema al limone ci congeda da questo evento che ha sezionato e ricostruito il concetto di picnic per amplificarne l’estetica dello stile e dello schema culinario. 


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