Paulo Airaudo accende la sua miccia creativa al Luca’s de La Gemma Hotel di Firenze
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È una personalità vulcanica quella dello chef italo-argentino Paulo Airaudo che riesce sempre a convincere, unita a una iperattività imprenditoriale straordinaria


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Ha una posizione strategica La Gemma, nuovo hotel cinque stelle dal design ricercato e senza tempo; che sebbene in centrissimo a Firenze, beneficia di una tranquillità rara, perché situato in una via silenziosa, come pochissime in centro storico. Di proprietà della famiglia Cecchi, La Gemma, acronimo delle iniziali di Ginevra, Edoardo, Massimiliano, Maria Sole, Andrea, i giovani fratelli comproprietari, si propone come un bijou nello scenario fiorentino dei cinque stelle.
Una palette di colori ispirata a Santa Maria del Fiore, verde e rosa cipria che si declinano sulle boiserie, su marmi sontuosi e velluti aggraziati. Trenta camere e una manciata di suites distribuite su cinque piani, un’area benessere che oltre a bagno turco, idromassaggio e trattamenti personalizzati, include una sferzante doccia di ghiaccio.
Quello che traspare in ciascuno spazio è la grande cura dei dettagli in ambienti di dimensioni intime e raccolte, che maggiorano il senso di accoglienza e rendono l’atmosfera ancor più attraente.
Il nome, La Gemma, è uscito quasi da solo, un acronimo che allinea le iniziali dei nomi dei componenti della famiglia proprietaria, Luca, Alessandra, i genitori, e a seguire i cinque fratelli, Ginevra, Edoardo, Massimiliano, Maria Sole, Andrea. La direzione è nelle mani della General Manager Laura Stopani, un mix di pragmaticità e carisma di granitico spessore, con precedenti esperienze in altre strutture extra lusso come Borgo Santo Pietro, poco fuori Siena e il relais La Sommità di Ostuni.
Ed è proprio Stopani che in fase di definizione della proposta gastronomica, viene coinvolta dalla proprietà e suggerisce il trentottenne Paulo Airaudo, lo chef italo-argentino ultra-blasonato, da anni residente a San Sebastian. Avevano già condiviso, circa una decina di anni fa, una breve esperienza a Borgo Santo Pietro, poi lui partì per Ginevra a dirigere la cucina de La Bottega, che quattro mesi dopo vide arrivare la prima stella Michelin. Oggi i ristoranti di sua proprietà sono quattordici, sparsi in tutto il mondo, nove in Spagna, dove, a San Sebastian, ha acceso due stelle all’Amelia, dal nome della figlioletta. Una è arrivata all’Aleia a Barcellona, mentre la quarta brilla a Hong Kong, la prossima tappa sarà Miami, l’unico ristorante dove Airaudo non è unico proprietario, ma ha un socio.
Il Luca’s Restaurant, all’interno de La Gemma, partito a Firenze all’inizio dell’estate, è l’unica attività consulenziale dello chef e si avvale dell’abilità degli executive Olivia Cappelletti  e Tommaso Querini, che contribuiscono a confezionare una proposta raffinata e incisiva, che applica sapienti distorsioni di frequenza, leggibili e azzeccate, a un classicismo cosmopolita.



Paulo ha una iperattività imprenditoriale e un’abbondante dose di talento nello scoprire talenti, nonché una personalità vulcanica che sa innescare una sempre convincente miccia creativa. “Ho fatto moltissimi lavori nella mia vita – ci racconta – molti richiedenti una predisposizione alla creatività, come il graphic designer, ma a tutti ho preferito lo chef, che mi permette di essere anche un esploratore. Anche perché non avrei mai potuto lavorare a una scrivania”. E infatti i suoi ristoranti si trovano in luoghi molto diversi fra loro, San Sebastian, Hong Kong, Barcellona, ora Firenze, luoghi che devono sempre esercitare un certo fascino sullo chef “Prima di lanciarmi su un nuovo progetto, valuto la città, che possibilità di crescita ci sono… spesso ho rifiutato proposte perché non mi attraeva o convinceva del tutto il luogo. A Firenze ho accettato subito, è innegabilmente una delle più belle città del mondo e qui ho trovato la famiglia Cecchi che condivide i miei stessi principi sul lavoro.”

La sua è una ricerca di nitidezza e leggibilità nel piatto, partendo dal prodotto, ciò che si potrebbe definire una pragmaticità del buono.
La filosofia che accomuna tutti i ristoranti di Airaudo è quella di proporre esclusivamente menu degustazione, al Luca’s nello specifico, in versione da quattro o otto portate e tutti i piatti sono proposti anche alla carta.

Il ristorante è al primo piano, insieme al grazioso cocktail bar, con il suo mood déco che merita la tappa per un drink pre-cena, come One of God’s Better People – Franciacorta, Martini Riserva Ambrato infuso in cera d’api, camomilla, Crème de cassis; o Crash – Mezcal Del Maguey infuso in ananas grigliato, St-Germain, cordial al matcha, essenza di rosa. 

Come insegna la cultura giapponese, di cui Airaudo è grande conoscitore, l’inizio va sempre affidato a un brodo, e qui viene presentato un dashi di carne di maiale infuso con polvere di capesante e alga kombu.

Una tartelletta di astice blu, con mousse di burrata e un cono con mousse di mortadella e pistacchio avviano la cena, accompagnate da Château Bonnet – Entre Deux Mers Blanc – André Lurton – Sauvignon, sémillon, muscadelle, tipici della zona di Bordeaux. Un sauvignon non troppo invadente, un equilibrio tra sapidità e acidità che invoglia a continuare.

Segue un’ostrica ricoperta dalla sua mousse, potenziata nella marinità da caviale Osetra e impreziosita da una foglia d’oro.
Il pane è semi integrale e arriva al tavolo con grissini al sesamo e parmigiano

Composte come un bocciolo di rosa, le lamelle di rapa contengono un crudo di ricciola e ume kosho, un condimento di prugne, con peperoncino, legati in un’acqua di pomodoro e olio allo shiso

Una tartare di gambero rosso è avvolta in una sfoglia di barbabietola rossa, con panna acida e olio all’aneto ad arrotondare e la mostarda in grani a zampillare di lieve piccantezza

È una pienezza di gusto civettuola che caratterizza il risotto alla zucca, con astice blu scottato, con punte acidule e piccanti date dalla vinaigrette al nasturzio, olio alla ‘nduja, limone, nasturzio fresco. 

A sferzare, per contraddizione, sulla rotondità del risotto, Colline Albelle 2021, vermentino 100%  dalla spiccata acidità quasi di agrumi, alcool pacato, 10,3°, una freschezza che vira all’amaro

Da manuale i cappelletti ripieni di piccione, salsa di burro al timo, fondo di cottura del volatile, in abbinamento un Castello dei Rampolla Chianti Classico 2020 frutti rossi, confettura culminano in un balsamico speziato, dai tannini sottili

La coda di rospo si appoggia a telline e rapa bianca, immerse in bagna cauda dove sguazzano sapide delle uova di trota; una foglia di bietola dà piacevoli nuances di amaro vegetale. 

Il petto di piccione, appoggiato a una base di aglio nero, trae un’elegante dolcezza da una crema di cipolla, contrastata con garbo dalla terrosità del fungo maitake e la sua salsa, immancabile il fondo di cottura. Il tocco di classe è dato da un petalo di cipolla arrosto contenente olio al cipollotto.

Nel calice, Rosso Toscana Tenuta di Trinoro Le Cupole 2020, un bel sorso fruttato, con alternanza di freschezza e sapidità

Accattivante, nella sua apparente semplicità, il flan di formaggio di capra, con coulis di susina, susina fresca, da alternare a una cialda di avena e miele, servita a parte.

Una purea di topinambur avvolge la croccantezza di un crumble al pistacchio, con il gelato al cioccolato bianco a potenziare la golosità in competizione con l’aria alla mandorla a fornire la nota amaorognola.

“La piccola” come la chiamano gli addetti ai lavori, si compone di croccante al lampone e pistacchio; cioccolatino ripieno di ganache allo yuzu e soia; cannelé bordelais, gianduiotto, gelatina al mango.


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