Andrea Petrini: I ristoranti della 50 Best? Roba da ricchi.

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Uno dei critici più influenti del mondo commenta The World's 50 Best Restaurants in una intervista al quotidiano berlinese Der Tagesspiegel


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Riposti nel cassettone abiti lunghi e tuxedo sfoggiati al Wynn di Las Vegas, il popolo della 50 Best Restaurants si dà appuntamento al prossimo anno a Torino. Alcuni giorni prima della cerimonia, Der Tagesspiegel, il quotidiano tedesco più letto a Berlino, ha intervistato Andrea Petrini. Fra i più influenti critici del mondo e creatore di Gelinaz!, italiano, residente a Lione, per anni ha ricoperto il ruolo di coordinatore del panel francese della celebre lista. Ecco un estratto dell’intervista che titola  “Gli unici ristoranti che vincono sono rivolti esclusivamente ai ricchi” dove lo storico giurato racconta perché ha smesso di far parte della giuria. 

Per riassumere. Alla 50 Best Restaurant votano 1.080 giurati provenienti da 27 nazioni, quindi 40 votanti per paese. Ognuno può esprimere per la propria regione fino a dieci preferenze, di cui ne possono essere premiate al massimo sei. A differenza della Guida Michelin, dove un piccolo gruppo di ispettori stila un report su ciascuna visita ai ristoranti, o della Gault Millau, dove vengono richieste  recensioni dettagliate, per la 50 Best non è necessario esibire dettagli su qualità dei prodotto, la preparazione e la creatività. I giudici di sono composti in egual misura da giornalisti, buongustai e addetti ai lavori, come chef e ristoratori, ai quali ovviamente non è consentito votare per i propri progetti. Ogni anno deve essere sostituito almeno il 25% dei membri della giuria.



Signor Petrini, fra qualche giorno a Las Vegas verranno consegnati i premi “50 Best”, è in partenza? 

Sì, ma Las Vegas non è nella mia lista, vado a Vienna, a New York e poi nel Maine.

Non le interessa sapere chi sarà il  miglior ristorante del mondo?

Ad essere onesti, non proprio. 50 Best esiste ormai da 22 anni, all’inizio era sempre sorprendente, fuori dagli schemi, poi nel tempo è cambiata. Ora è molto prevedibile chi sale un po’, chi sta scendendo ed è abbastanza ovvio cosa bisogna fare per raggiungere la vetta.

Cosa bisogna  fare?

Bisogna avere innanzitutto un ristorante fine dining e avvolgerlo in una copiosa narrazione, partecipare a tutti i congressi importanti, essere molto attivo sui social media e sempre in movimento. Non risultare troppo critici ed esibire sempre un ottimo umore. Un po’ il mood delle sitcom di un tempo. Parte un meccanismo di inviti, sia fra chef che verso i votanti. Viene creato un circolo esclusivo. E gli altri restano fuori.

Lei ha guidato la giuria francese per molti anni, da quando è uscito?

Sono fuori dal 2016. A quel tempo, 50 Best stava semplicemente cambiando identità, hanno iniziato a fare eventi in tutto il mondo, negli Stati Uniti, in Asia, in America Latina, dove i governi locali hanno contribuito all’impegno economico, i soliti noti hanno visitato i migliori ristoranti della regione che sono saliti in cima alla classifica.

Ogni anno in Austria vengono testati i ristoranti fuori dalle grandi città. Non le sembra poco equa come pratica?

Di questo non si può incolpare totalmente la “50 Best”. Il problema è che dietro c’è  San Pellegrino, un’azienda coinvolta in numerosi scandali ambientali. E di questo nessuno dice niente, tanto meno i numerosi ristoranti che sbandierano il valore della sostenibilità nel loro storytelling. 

Uno dei meriti della 50 Best è che veicola lo stato della gastronomia nel mondo, ha favorito una certa globalizzazione della ristorazione

E standardizzazione. La scena è molto più monotona oggi rispetto a 20 anni fa. Allora la Spagna era ancora in fermento, l’ascesa del “Noma” e della cucina nordica era appena iniziata, molti offrivano più di un semplice menù degustazione, avevano una propria identità, spesso molto forte. Anche in Asia accadevano cose interessanti e in America Latina, dove oggi è più o meno uguale. In classifica c’era “El Bulli”, ma anche i neo-bistrot di Parigi, c’erano i ristoranti a tre stelle, ma anche una trattoria chic a Venezia. Oggi ci sono solo i ristoranti che danno da mangiare ai ricchi.

In Germania i ristoranti più entusiasmanti si trovano anche in città come Norimberga o Hannover. Ma non compaiono mai nella lista. Solo alcuni a Berlino e recentemente a Monaco. Perché?

Probabilmente perché i giurati internazionali che viaggiano in Germania non ci arrivano nemmeno. Anche in Francia, la maggior parte dei ristoranti della lista si trova a Parigi. E quasi nulla fuori. Inoltre, in Germania ci sono ristoranti sicuramente molto buoni, ma che sono percepiti di ispirazione francese e da tempo questo non fa tendenza. Per molti probabilmente non vale la pena fare il viaggio, come dice la Michelin.

Da tempo si dice che gli chef tedeschi siano considerati a livello internazionale tecnicamente abili ma stilisticamente poco brillanti. Le risulta ancora?

Questa è l’impressione di molti. Forse perché gli chef più anziani preferiscono rintanarsi in cucina piuttosto che inventare manifesti e invitare ospiti di rilievo. È anche più difficile oggi dare giudizi perché il giornalismo gastronomico è quasi scomparso. Nemmeno in Francia i critici hanno ormai una nota spese degna di nota. Le cose erano diverse qualche anno fa.

In qualità di giurato “50 Best”, è necessario includere lo scontrino quando si presentano i propri dieci candidati?

No, non è richiesto. Ciò sarebbe ovviamente più trasparente, ma d’altro canto non è sempre possibile. E non tutti i membri della giuria sono critici, sebbene lavorino nel settore. Da tempo esiste anche un dipartimento PR dedicato che riempie tabelle Excel con influencer e giornalisti per ottenere, si spera, qualche giurato. L’anno prossimo la cerimonia di premiazione sarà in Italia. I ristoranti piemontesi cominciano già ad invitare personaggi importanti. L’Italia paga un sacco di soldi per ospitare i premi in modo che ricevano molta attenzione da parte dei media l’anno successivo.

Si nota che in classifica non c’è quasi nulla che provenga dall’Africa. Perché?

Semplicemente per mancanza di conoscenza. Ci sono troppo poche persone fra i votanti che viaggiano in questo momento 

Qual è stato l’ultimo ristorante che l’ha sorpresa?

Me ne vengono in mente due. A gennaio ero a New York con Victoria Blamey, chef cileno-americana che ha appena aperto Blanca. Una cucina intelligente, variopinta, senza mai essere pretenziosa, comprensibile da chiunque. Le empanadas con granchio reale sono pazzesche.

E l’altro?

Questo è in Italia. Ci sono capitato per caso. Alla “Locanda del Falco” vicino Piacenza cucina un giovane che ha lavorato a Parigi e in Australia. Cucina tradizionale italiana rivisitata, ma non i soliti cliché, niente fermentazioni come nel nord della Finlandia o ceviche dell’Oceano Pacifico. E niente kombuche, ma ingredienti perfetti di piccoli produttori. Un posto fatto per gli ospiti e non per gli chef.

Attualmente a Berlino si trovano sempre posti liberi nei migliori ristoranti. Che consiglio darebbe?

Certo, oggi siamo tutti più poveri rispetto a cinque anni fa. Forse le persone sono anche un po’ stanche. Oppure, vi sono remore ad andare al ristorante, perché molte persone difficilmente possono permettersi di avere qualcosa di caldo sulla tavola di casa. Da Nobelhart & Schmutzig il menu è stato ridotto. Non stai più seduto 4 ore per 12 portate. Questa può essere una strada, una proposta più snella e veloce e quindi anche più economica. 

Link all’articolo originale https://www.tagesspiegel.de/gesellschaft/genuss/worlds-50-best-restaurants-heute-gewinnen-nur-noch-laden-die-die-reichen-futtern-11732921.html


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