Una porzione dei tre ettari di terreno che circonda Villa Zarri a Castel Maggiore oggi è adibita a coltivazione di ortaggi, che si innestano direttamente nelle idee dei nuovi piatti dello chef
Varcando l’arco di edera che dà accesso al parco secolare della maestosa Villa Zarri, dove è ubicato il Ristorante Iacobucci, si intravede il biancore della divisa di chef Agostino che dal prato ci fa cenno di seguirlo. “Mi serve una cipolla” dice “venite con me” e girandolando fra i tigli e i platani della proprietà, scambiandoci i saluti di rito, ci ritroviamo nel grande orto del ristorante. Decine di tipi di pomodori, più una miriade di datterini gialli spenzolanti da piante alte più di due metri, sono pronti per essere colti. I fagiolini nani, a baccello nero, sono una varietà francese che arriva direttamente dall’orto mentonnais dell’amico fraterno Mauro Colagreco. Un’ampia area dedicata accoglie le erbe aromatiche. Il tutto in un vasto perimetro di terreno dove lo stesso chef trascorre buona parte del suo tempo, per intervenire personalmente nella coltivazione e nella crescita di quello che diventerà il raccolto.
“Il progetto è nato durante il periodo di fermo forzato della quarantena, ma era da un po’ che ci pensavo” ci racconta mentre dissotterra una rossa di Tropea “abbiamo adibito una parte dei tre ettari di terreno che circonda la villa a coltivazione di ortaggi, che si innestano diretti nella genesi dei piatti. Uno staff di due persone esperte del settore, curano le piante quotidianamente e il lavoro è tuttora in divenire. Seguire passo passo gli stadi di evoluzione della pianta, fino a raccoglierne i frutti” continua Iacobucci “ci fa maturare maggiore consapevolezza sulla materia prima e sulla sua successiva lavorazione”. Trascorrere il lockdown approcciando il lavoro di agricoltore ha permesso allo chef di non abbandonarsi troppo alla preoccupazione dell’incertezza futura, ma di avere tutti i giorni una carica di positività, data anche dalla progressione della crescita dei prodotti, che si è tramutata istantaneamente in propensione alla sperimentazione e alla ricerca per le idee dei nuovi piatti. Quindi l’orto non solo come generatore di elevati livelli qualitativi, cultura del prodotto e veicolo di sostenibilità ma anche luogo di germinazione del processo creativo. Nonché spazio dove godere della bellezza autentica della natura, per questo Agostino ha voluto disporre dei ceppi, allineati lungo la recinzione, dove sedersi ad ammirare questo lussureggiante spettacolo vegetale.
Spettacolo che continua negli interni della villa, nella sala del ristorante, di impianto cinquecentesco, ma ornata con i magnetici affreschi risalenti al ‘700 a decorare il soffitto a cassettoni in stile barocco. Ricco nella sua estetica, ma mai esageratamente opulento. E in questo, precisamente rispecchiante i piatti d Iacobucci. Che sa essere millimetrico nella sontuosità, in un navigato equilibrio che non sfora mai nell’eccesso.
L’accoglienza è affidata a una composizione armonica di amuse-bouche, dove a una parmigiana di melanzane concentrata in una lucida sfera nera segue un macaron al pistacchio con crema di paté di fegatini. Un sorprendente ravanello marinato nell’aceto di lamponi, un taco croccante con crema di avocado, tartare di tonno e gel allo yuzu. E un cono di pasta fillo dove è custodita una crema di robiola e topinambur, tartare di spigola e liquirizia.
L’ostrica Gillardeau, celebre per la persistenza di una certa dolcezza che si sfalda nel finale dalla sapidità, trova man forte in una zuccherina gelatina di pesca, il tutto corredato dalla perfetta mediazione della granita di champagne, dispensatrice di acidità.
Insieme all’immancabile pagnotta di pane arrivano impalpabili cracker con semi di lino, impeccabili grissini torinesi, e il tarallo con mandorla, semi e pepe, richiamo alle origini campane dello chef.
Oltremodo terso nei sapori e di consistenze molto eleganti, il sedano rapa, cotto in crosta di sale, sebbene affettato molto sottile, mantiene una piacevolissima croccantezza. Servito con una salsa di mandorle, olio al rosmarino e uova di trota.
Sembra uscita da un dipinto di Alex Katz I’insalata di pomodori, ma sicuramente è uscita dall’orto, non solo nelle materie prime ma anche nel concetto. Un pomodoro giallo, uno rosso, ripieni di mozzarella di bufala, una sfera di melone cantalupo e una di cocomero, galleggianti in una estrazione di mela verde, finocchio e anguria. In abbinamento un sorbetto di pomodoro verde e arance amare, servito a parte. In uno sciame di nuances dal dolce all’acidulo.
La nuova anguilla Iacobucci Editon è arrostita e forgiata come un tramezzino. Il pesce più enigmatico della storia, che ha visto scomodare Aristotele e Freud nello studio della sua riproduzione, peraltro senza esito, è una costante nelle carte di chef Agostino. Qui è da godere quasi come un aristocratico street food, dove una vinaigrette di salsa di soia, una spremuta di agrumi, un gel di yuzu la costellano di toni acidi che attenuano la sua naturale burrosità. L’insalatina odorosa rimette in riga le papille per gli assaggi successivi.
Il mitologico tortello di ragù napoletano, gel al basilico, spuma al Parmigiano Reggiano è ormai uno dei piatti firma dello chef, la fusione della cultura gastronomica campana con quella emiliana.
Il piccione, di cui viene servito il petto e il filetto, si accompagna con una intensa salsa di ciliegia e di nocciole. Le ciliegie vengono servite anche intere, farcite con una crema di foie gras. Il porro grigliato smorza gli eccessi di dolcezza con le note vegetali e di leggera affumicatura.
La panna cotta, vaniglia e limone, con sorbetto di rapa rossa e barbabietola marinata, aceto di riso e succo di arancia prepara la scena all’inimitabile babà. Tripla lievitazione e continua sperimentazione per condurlo alla perfezione e renderlo sempre più evanescente. L’ultima sfida di Agostino e di portarlo in futuro ad un peso di 20 g.
Nel finale non può mancare la sfogliatella alla crema pasticcera, insieme alle friandises di rito. Marshmallow al lampone, madeleine al frutto della passione, macaron mandorla e mango, gelée al mandarino