Le idee di Francesco Vincenzi sono di una identità nitida, emersa in tutta la sua limpidezza in questa cena d’estate quasi tutta vegetale, fra scale di amari e stuzzicanti acidità
Il giardino interno al MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ha accolto un evento di pregevole suggestione, scaturito dalla fervida orchestrazione di molti attori, che insieme hanno generato un piacevolissimo momento di intrattenimento culinario. Partendo da un’idea di Postrivoro insieme alla collaborazione con l’eclettico locale faentino Clan Destino, conosciuto a livello mondiale per la programmazione di musica sperimentale, con la proposta gastronomica dello chef di Franceschetta 58 di Modena. E inoltre con la presenza de La Baita, osteria di Faenza con bottega di specialità autoctone ed enoteca, depositaria di oltre mille etichette, che ha proposto una selezione di vini di cantine locali. Con bottiglie anche da piccole riserve personali. In una carta suddivisa fra annate recenti e d’antan, più importanti, come il Pietramora Sangiovese Riserva 2008 di Fattoria Zerbina, o il Nicolucci Vigna del Generale Sangiovese 2011. La nostra scelta ha virato verso il Borgo Casale Sauvignon 2007 di Vigne dei Boschi.
Già il percorso d’ingresso che prevedeva l’attraversamento del piano terra del MIC è stato un trastullo per gli occhi, fra la sezione di ceramiche Precolombiane fino ad arrivare agli enormi lavori onirici di evocazione indiana di Luigi Ontani. Ma si contano anche importanti opere di Picasso, Fontana, Paladino, Matisse. Poi, nel piatto, le idee dello chef Francesco Vincenzi, ventottenne modenese, proclamato nel 2019 miglior chef under 30 da Identità Golose.
Dopo essere stato parte della brigata di Massimo Bottura, ed essere passato, circa tre anni fa, alla conduzione della Franceschetta 58, il bistrot del tristellato di Via Stella. Dove si cucina l’essenza gastronomica dell’Emilia-Romagna filtrata attraverso un mood millennial. Che attinge sicuramente dai valori fondanti della Francescana, come la sacralità della materia e una intesa di squadra coinvolgente, ma con un taglio identitario molto nitido. Emerso in tutta la sua limpidezza nelle proposte di questa cena d’estate tutta vegetale, se non per qualche cameo di formaggio. Partita con una fetta di melone floccata in tutta la sua superficie con una purpurea polvere di karkadè che la avvolgeva di una stuzzicante acidità, in aggiunta una punteggiatura di pepe rosa e origano.
Una insalata di zucchine, alcune appena grigliate, altre lasciate crude e tagliate sottili e fagiolini, conditi con una salsa di pecorino Riccio di San Patrignano a dare sostegno con la sua pungenza aromatica. In un pot-pourri di profumi sprigionati dalla lavanda e dal geranio odoroso, agrumato e fresco.
In un brodo di cipollotto rosso dalla dolcezza di un equilibrio ammaliante, varie radici apportavano ciascuna la loro peculiare nota amara. Dalla terrosità della barbabietola a fette sottilissime, al pizzichino de ravanello, fino alla prepotenza del rafano. Il rabarbaro, insieme alla marasca aveva in carico le scale di note acide, mentre la rosa emanava il suo aggraziato aroma.
Chef Vincenzi ha una predilezione per i primi piatti, e la pasta nei suoi menu ricopre sempre un ruolo che lascia il segno. Qui, i tubetti erano saltati con un burro alla camomilla e crema di cicoria, in aggiunta ricotta di pecora e tè nero affumicato, ancora l’amaro che si fonde con profumi delicati.
Nella “Caponata di caponata” un pomodoro cuore di bue diventa il recipiente per le verdure canoniche della caponata, da unire nell’assaggio al concentrato di gusto del brodo di peperoni alla base del piatto. Il dessert, una visione psichedelica della zuppa inglese.