Gabriele Andreoni, lo chef che da poco meno di un anno ha avviato da Gurdulù a Firenze il suo progetto di cucina dalla formalità contemporanea, costruito su fondamenta dalla pacata compostezza, in una dimensione di derivazione classica.
Già dalle vetrine a pochi metri da Piazza S. Spirito filtra l’atmosfera rétro-chic di Gurdulù, con i suoi interni ispirati al design newyorkese anni ’50, che potrebbero aver fatto da set a How to marry a millionaire accogliendo al bancone dei cocktail l’algida Lauren Bacall. Ambiente in contrapposizione con il nome dell’insegna, foneticamente gorgheggiante, riferito allo strampalato scudiero del Cavaliere inesistente di Calvino, che giustifica la complessità dell’esistente ripetendo monotonamente «tutto è zuppa». Sicuramente non il motto di Gabriele Andreoni, lo chef che da poco meno di un anno ha avviato qui il suo progetto di cucina dalla formalità contemporanea, costruito su fondamenta dalla pacata compostezza, in una dimensione di derivazione classica.
Nello scenario gastronomico attuale, dove viene rappresentata sempre più la ricerca dello stupore, del sobbalzo dell’avventore nello scoprire che il piatto non è quello che sembra. In un marinismo che molti cuochi hanno fatto proprio rifacendosi inconsciamente alla poetica barocca di Giovan Battista Marino che nel 1600 versificava “E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo, chi non sa far stupir vada alla striglia“. In questa ricerca forzata della sorpresa, di un effetto wow che è sempre a rischio artificiosità, chef Andreoni ha intrapreso la via opposta, quella di una elegante sobrietà scaturita da tecniche ben padroneggiate.
L’accoglienza è affidata ai drink della bar lady Cristina Bini, che dal banco ci passa il suo cocktail Martini con gin Sabatini mescolato ad un infuso di quercia leggermente disidratata ottenuto dall’estratto di pompelmo rosa.
Un cuore di indivia marinato al Campari apre la sequenza delle corse, accanto ad una salsa di salicornia, amaro su amaro da diluire con l’agrodolce del sorbetto di cipolla, con arachidi sminuzzate per integrare in sapidità e masticabilità.
Anche lo scampo appena scottato viene introdotto da diverse gradazioni di amaro, fra una polvere di verbena e una radice di scorzonera disidratata; con la bottarga per l’apporto sapido. Il tutto da intensificare sorseggiando un “moka” concentrato di scampo.
Dalla base estremamente delicata gli gnocchi di ricotta, addizionati di carattere dalla terrosità di mini sfere di concentrato di rapa rossa e polvere di acciuga.
Ormai piatto di firma di Andreoni la pasta con la poppa, in questo caso il rigatone, è l’elevazione gourmande di un piatto storico dello steet food fiorentino, la mammella di vitella. Qui diventa una sorta di cacio e pepe, partendo da una crema, ottenuta dopo averla bollita e frullata, che conserva un sapore latteo evocando il formaggio. Viene aggiunto il pepe e anche zest di lime che chiude con un tratto acido.
Doppio servizio per il piccione, del quale arriva prima il petto, in versione molto nature, solo lievemente scottato e abbinato all’amarotico di una salsa alle cime di rapa. Poi la coscetta arrostita con un crostino, aromatizzato alla salvia, di cuore e fegato del volatile.
La freschezza di un sorbetto di carota, zenzero e arancia ci accompagna al dessert della preparata giovane pasticcera Christine Palmer. Banana caramellata su una base di crumble di cioccolato, con frutto della passione, cioccolato al latte e arachidi.
A Cristina Bini spetta la chiusura con il suo mezcal, acqua brillante, essenza di rosa, peychaud’s bitter.
Gurdulù
Via delle Caldaie, 12 – Firenze
Tel: 055 282223