Divanetti e pouf disseminati nel grande parco della proprietà Tre Virtù accolgono gli ospiti che possono dilettarsi con i sapori stellati dello chef a diretto contatto con la natura
I sei ettari di verde della tenuta Le Tre Virtù si trasformano in un enorme plaid di prato per accogliere il picnic stellato del ristorante Virtuoso. “Abbiamo costruito questo nuovo progetto culinario intorno a un unico obiettivo: far vivere appieno la natura di questo luogo ai nostri ospiti” ci racconta Antonello Sardi, da poco più di un anno alla guida della cucina dove ha appeso la targa fiammante con il macaron Michelin a sette mesi dall’apertura. “In questo momento pensiamo che sia fondamentale riappropriarsi del proprio tempo, concedersi momenti di appagamento che abbracci tutti i sensi. Per questo ho pensato di portare i sapori dei miei piatti a diretto contatto con gli elementi naturali del nostro territorio, di cui i commensali possono godere nella più totale libertà”. Il contesto è dipinto da quella bellezza che solo il rispetto più assoluto per l’ambiente può generare. Siamo a circa mezz’ora d’auto da Firenze, qualche minuto in più se si sceglie la via Bolognese che però ripaga con una magnifica vista panoramica. La località è Scarperia e San Piero, nata dalla fusione degli omonimi comuni che, per non scontentare nessuno, ha mantenuto il doppio nome, un borghetto medievale celebre per i suoi artigiani coltellinai.
Sorto dai ruderi di un antico casolare, con fienile e porcilaia annessi, dopo una ristrutturazione di cinque anni, nel 2016 apre il relais Le tre Virtù con le sue sette stanze, arredate personalmente, come tutto il resto degli spazi, dai giovani proprietari Valentina Sabatini e Christian Priami. Intorno duecentocinquanta alberi di frutti antichi, olivi che quest’anno daranno il primo raccolto, un riquadro piantato a lavanda con cui si produce olio essenziale ed è in programma di adibire un ettaro e mezzo di terreno a vigneto. Il tutto corredato di certificazione biologica. E dalla sontuosa piscina a sfioro, sulla sommità di un lieve pendio, si intravedono in lontananza i ciuchini che fanno compagnia a galline, oche e anatre, fornitrici di uova fresche che arrivano direttamente in cucina. “Le raccolgo io la mattina presto” dice Valentina “e le porto allo chef per la colazione, che avevamo deciso, già prima delle nuove norme di prevenzione sanitaria, di preparare in forma espressa, per ciascun ospite, eliminando il buffet. Abbiamo ridisegnato il servizio anche del pranzo per adattarlo alla formula picnic.” Che è reso ancor più dilettevole dal fatto che non ci si siede su una coperta, ma su comodi divanetti e poltroncine in rattan, dotate di tavolino d’appoggio e piccolo gueridon. Le postazioni, per due, quattro persone (ma sono previste anche soluzioni per piccoli gruppi) sono disseminate nell’immenso prato che circonda la struttura, ben distanziate le une dalle altre. Per centrare lo scopo di offrire il contatto con l’ambiente concedendo agli ospiti una buona dose di intimità e senza ritmi serrati. Anzi dopo pranzo si può rimanere a giocare con i giochi lasciati in dotazione accanto alle sedute, come bocce, freccette, forza 4.
Il servizio è inevitabilmente puntuale e attento, ma alleggerito da eccessive spiegazioni e monologhi sui piatti, a meno che non sia per soddisfare espresse curiosità dei clienti. Anche perchè non è necessario capire i piatti, ma sentirli, lasciando fare ai propri sensi. “Il menu del picnic prevede le stesse pietanze del menu serale di Virtuoso” sottolinea chef Sardi “con piccoli adattamenti per una fruizione più agile, comodamente adagiati su una chaise-longue. Qualche piatto si è trasformato in fingerfood, altri richiedono l’aiuto minimo delle posate.” Rimangono intatti i sapori e l’eleganza del menu serale, ma lasciando gli ospiti nella massima libertà di godersi la natura.
Il falso pomodorino, cavallo di battaglia di Antonello, in principio di patè d’anatra, diventa verde grazie alla finta buccia di clorofilla di prezzemolo, con l’interno di taleggio e patate raffrescate dall’acqua al prezzemolo. La quenelle di calamari, lucidata dalla copertura di acqua al nero di seppia è un omaggio, nell’estetica, ma non nei sapori, alla melanzana moderna di Enrico Bartolini. Il topinambur viene totalmente svuotato e rimane la buccia, resa croccante, ripiena di crema di semi di girasole, polvere di peperone, salsa ai fichi.
La ricciola dell’Elba, con un lato cotto e uno crudo, gioca sul contrasto caldo-freddo, enfatizzato anche dalla salsa di cicale crude; mentre lo yin e yang della bisque di cicale e della maionese al rafano, creano gli opposti dolce, amaro che si completano a vicenda. Con il grano saraceno soffiato a riequilibrare i toni insieme alla polvere di cipolla bruciata.
Per le prime due corse, la scelta del sommelier è ricaduta su Poggerino Rosé metodo classico, 100% Sangiovese millesimato 2011, 44 mesi sui lieviti e dosato con lo stesso vino.
Ottima l’animella, temprata da un rilucente fondo di vitello, con l’indivia alla brace avvolta nella sua complessa e sofisticata allure amarognola. A parte una spuma al gin tonic, per ri-disciplinare le papille.
Un concetto rurale quello dei cappelletti di piccione, semplicemente deposti nel fondo del pennuto, arrotondato dal burro e punzecchiato dal timo, che esprime pienamente una delle abilità di Sardi. Quella di estrarre raffinatezza da preparazioni dal dna rude.
In contemporanea nel bicchiere un Fortuni Pinot Nero 2009 di Podere Fortuna
La pappardella è elegantemente ruvida e sostiene un morso nerboruto, condita con un eccelso ragù di agnello, dall’accento sapido e leggermente acidulo conferito dallo yogurt di capra.
Golosità a palate nel pain brioche, di ricercata fattura, farcito con un maialino di latte in porchetta, con l’accostamento classico delle mele, qui in salsa, pronte a rinverdire il palato.
Il Chianti Classico La Casa di Bricciano 2015, Cabernet Sauvignon e Merlot. Azienda biologica, dove ogni 3-4 mesi, le botti vengono lavate a vapore, eliminando fecce e residui vari e poi viene re-inserito il vino all’interno. Un procedimento, ci racconta il sommelier, non praticato comunemente, che qui viene riservato sia alla versione “base” che al riserva.
Delicata la tartare di cernia contenuta nel taco, in cui la maionese al nero di seppia svolge il ruolo di sollecitatrice di intensità e con la millimetrica brunoise di carote e finocchio a punteggiare la masticazione.In abbinamento Montenidoli Fiore Vernaccia di San Gimignano 2017 biologica.
Il dessert è doppio, a un classico babà al rum, si alterna un cheescake declinato in crema, da mixare con un crumble di cacao e un crumble alla vaniglia, dove alcune gocce di gelatina al mango virano all’acido.
Si chiude con il Gran Liquore del Pastore Federigo Cini, la ricetta tramandata dal 1800 di un distillato di caglio di latte, senza lattosio, zucchero, vanillina pura e limoni non trattati.
Affianca l’avveniristica Modbar, ultimo modello di macchina da caffé Marzocco, una contenuta ma ben costruita carta dei caffè che include quattro proposte. Geisha, un Colombia, 100% arabica coltivato a 2.000 mt. il più acido di quelli in carta, con aroma di gelsomino, zenzero e caramello e dalla persistenza forte.
Cachoeira, un Brasile 100% arabica, più morbido, con toni di caramello, vaniglia, sentori di terra, coltivato in un altopiano a 1.500 metri. Cuba della Sierra Maestra 100% arabica, più tostato e orientato verso il tabacco e il cacao. Cuore Avorio, un blend di miscele dai 300 ai 1.500 metri con un taglio di robusta e una cremosità corposa.