Il Virtuoso di Antonello Sardi. Quando l’aria di campagna esalta l’eleganza

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Lo chef fiorentino riparte dal relais Le Tre Virtù nel Mugello con una cucina country-chic, elegante, ma senza scivolosità manieristiche e con un godibile tasso di sostanza


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“Terminato il tratto di strada nel bosco, non appena mi si è aperta la visuale su questo crinale e questa distesa di verde, ho capito che qui era il mio nuovo posto… e già mi figuravo di arrivare in moto la mattina, godendomi il paesaggio” così Antonello Sardi racconta come la scelta del suo nuovo ristorante, Virtuoso sia stata dettata dal feeling che ha avuto da subito con il territorio. 
A pochi km dal lago di Bilancino, sulle colline del Mugello, la Tenuta Le Tre virtù si sviluppa attorno ad una residenza d’epoca risalente a fine ‘700, convertita in relais con sette eleganti suites nello stile autentico e ricercato dell’architettura rurale toscana dove si inseriscono elementi di design contemporaneo, ognuna contraddistinta da un colore. Questa è la Toscana delle colline lievi, dai prati estesi, quasi piani, ampi quadrilateri verdi che si alternano ai campi. Che entrano dalle grandi vetrate della veranda del ristorante.



I giovani proprietari Valentina e Christian, mi hanno coinvolto attivamente nella fase di set-up non solo della cucina ma anche della sala. Nella organizzazione degli spazi, nella scelta dell’arredamento, delle stoviglie e di tutti i dettagli che compongono l’ambiente, coinvolgendomi totalmente nel progetto.

L’azienda è un agriturismo, una parte del terreno è adibito all’allevamento di animali da cortile, immancabile l’orto, alcuni filari di alberi da frutto, un campo di lavanda, usata anche come aroma per i cioccolatini. L’approvvigionamento delle dispense arriva per gran parte dalla campagna circostante e non supera i confini regionali, come previsto dalle norme degli agriturismi e qui entra in gioco il solare pragmatismo di Antonello. Uno chef che unisce un consolidato mestiere, maturato in esperienze blasonate come la Bottega del Buon Caffè dove ha ottenuto la Stella Michelin nel 2014, ad una concezione creativa fra le più spontanee, assolutamente incontaminate da quelle maliziosità che certi cuochi approntano pensando si tramutino in proficue strizzatine d’occhio ai dispensatori ufficiali di riconoscimenti. Qui ci troviamo di fronte all’estro più libero e all’inventiva più genuina e naturale, fuori da ogni calcolo artificioso. Risultato, una cucina elegante, senza scivolosità manieristiche, con un mirabile tasso di sostanza, dove lo chef non nasconde l’appagamento nei gesti da cuoco come tirare la pasta da sé. 

Già l’appetizer è piacevolmente fuori dalle offerte mainstream, è una “pasta in brodo”, barchette ripiene di triglie e telline di Viareggio.
Lo storico finto pomodorino di paté d’anatra, dove non c’è fegato ma la preparazione prevede solo cosce e petti. Un amuse-bouche che si è moltiplicato nelle alzatine di benvenuto dei ristoranti negli ultimi tempi, che Sardi propone da molti anni come concentrato di sapore.
Una spuma di cioccolato bianco alla vaniglia, aromatizzata al tartufo e con qualche chips di patate viola precede l’uovo marinato, sostenuto da una crema di asparagi e una crema di topinambur, accompagnato da asparagi croccanti cotti alla brace, e una intensa buccia di topinambur, prima lessata e poi fritta.
Le taccole dell’orto, appena condite rinfrescano con una nuance verde la triglia, dove piccole sfere alla carota aggregano dolcezza, bilanciata da una maionese di rafano e da una crema di carote bruciate e cardamomo.

Di una semplicità rotonda di piacere gustativo i tagliolini con i calamaretti spillo salvia, parmigiano, clorofilla di prezzemolo.
Un piatto germinato dall’idea di ottenere un secondo, pensando al profumo di arrosto, prevalentemente di pennuto, che da piccoli si respirava in casa la domenica. Quindi l’anatra, che poi è diventata un ragù, con pesto di erbe spontanee, fave di cacao e polvere di alloro ad arricchire le perfette pappardelle.

Del piccione di Firenzuola viene servito petto e coscia, con l’annesso fondo di cottura e una riduzione di vinsanto, sopito dall’amaro dello spinacino alla brace dove si gusta anche la sua radice. Il fegato del volatile va a comporre un rocher  passato nella granella di nocciole.

Grande freschezza nel pre-dessert, dove una brunoise di carota, sedano, finocchio, arancia, mela è immersa in un estratto di succo della passione.
Il dessert sebbene tutto vegetale non ricalca le orme dei dolci non dolci, di talune tendenze propagatesi nell’ultimo decennio, ma appaga pienamente. Un raviolo di mela ripieno di mela saltata con il caramelloso zucchero muscovado, gocce di lamponi, aria di limone. Accompagnato da un sorbetto di mela e cannella.


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