Lo sguardo pluridirezionale di Francesco Vincenzi sull’emilianità in Franceschetta58 a Modena
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Al bistrot dell’Osteria Francescana lo chef Francesco Vincenzi e il suo team esprimono un pensiero vispo e ampio, alternando rotondità e spigoli, in una costante nitidezza di sapori


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La sana vivacità che permea l’atmosfera di Franceschetta58 è merce rara. Il perfetto incastro tra dedizione al gusto, storie della terra di Modena, estrosità con propensione allo spreco zero, racchiusi in uno spazio dove convivono sofisticatamente pezzi di design e oggetti di brocantage. Se poi ci aggiungiamo che è l’emanazione bistronomica di Osteria Francescana di Massimo Bottura si rafforza il modello di un luogo che infonde da subito voglia di tornarci.



E pensare che lo chef Francesco Vincenzi, trentunenne di Formigine, dieci chilometri da Modena, aveva esordito nel mondo della ristorazione in sala. Ancora studente all’alberghiero di Serramazzoni entrò all’Osteria Francescana come cameriere

aveva uno spiccato senso dell’accoglienza e il giusto approccio con i clienti e quando mi chiese di passare in cucina, pensai che sarebbe stata una perdita per il servizio, ma avrebbe giovato al Francesco cuoco aver lavorato in sala per comprendere il lavoro nella sua completezza.

Massimo Bottura

Trascorsi otto anni fianco a fianco di Takahiko Kondo, storico sous chef di Bottura, nel 2018 gli viene affidata la cucina del nuovo bistrot di via Vignolese. Il suo lavoro si basa su uno sguardo pluridirezionale, che non si limita al mondo della cucina per le ispirazioni, ma le capta da qualsiasi esperienza, dalla frequentazione di ristoranti, ai viaggi, alle letture, allo scambio ininterrotto con la brigata e i ragazzi di sala. Sala che è l’esempio preciso di come dovrebbe essere oggi un servizio contemporaneo, dove il coinvolgimento e l’efficienza di questi giovani parte dalla loro fervida preparazione, divulgata ai tavoli in scioltezza e giovialità. Come fa Laura Zito, sempre con un livello di attenzione sgommante, con garbo. O Marcello Righi, sommelier trentaduenne che ascolteresti per ore nella sua narrazione delle storie di vino, ma anche dei piatti, per il suo registro brillante e fluido, che evita il maramaldeggiare tipico di gran parte degli esperti di enologia.
L’esperienza in Franceschetta58 è pregna di una emilianità di fondo diffusa in tutti i suoi elementi, da quelli tangibili come le pietanze agli impalpabili come l’atmosfera. E questo innegabilmente conferisce sempre una marcia in più.

Nel menu I ♥️ Modena, si percepisce l’entusiasmo che chef Vincenzi mette nello studio di quanto la sua terra gli mette a disposizione, la sua curiosità e la voglia di sperimentazione. Nel piatto si alternano, guidati da un pensiero vispo e ampio, rotondità e spigoli, in una costante nitidezza di sapori.

Ravanelli leggermente scottati, maionese all’aglio nero.

Zucchine marinate nell’aceto di riso, crema di zucchine arrosto, aromatizzate e profumate con lavanda e sesamo.

Grissini pomodoro e origano, focaccia cipolla e rosmarino, pagnotta al lievito madre, polenta croccante al forno con curcuma.

Capasanta leggermente scottata, lardo, crema di mandorle dolci, maionese ai coralli, finocchietto marino fresco, estratto di taccole e olio al finocchietto selvatico.

Maggio-Rana. Rana pescatrice cotta alla brace, fondo di rana pescatrice con infusione di maggiorana, maggiorana fresca.

La melanzana viene pressata per farle perdere l’acqua, poi grigliata, è servita appoggiata a una riduzione dello stesso ortaggio, ricoperta da una crema di melanzane arrostite e da una ricca grattugiata di parmigiano 96 mesi. La mentuccia romagnola e il pepe di Sichuan ne aromatizzano e amplificano l’amabile pungenza.

Gli spaghettoni del Pastificio Mancini sono cotti in un succo di cipollotti rossi arrostiti e mantecati con alcune gocce di olio al cipollotto fatto in casa. Poi Spolverati di lapsang souchong, un tè affumicato che vira la dolcezza suadente dei cipollotti verso note di fumo.

Due servizi sono dedicati alle pance.
Si inizia con una pancia di mora romagnola, maiale nero allevato allo stato semibrado dell’azienda agricola riminese Zavoli. Viene marinata in una salamoia a secco, per alleggerire e svuotare i tessuti, cotta alla brace e servita con i sentori che gravitano intorno al classico bollito emiliano, prezzemolo, finger lime, acciughe. Un’acqua di prezzemolo con grani di senape apporta sbalzi di freschezza balsamica, con pungoli piccanti.

Gioca invece su garbate nuances amaricanti la pancia di vitellone, posta su un estratto di cicoria, foglie appena spadellate dello stesso vegetale e olio alla ruta.

Il calice che Marcello ci propone per il dessert ha una storia così trascinante che ci conferma che solo così può avere un senso raccontare il vino al tavolo. È il BZZ della biodinamica Terrevive di Bargianti, duecento mezze bottiglie che la Franceschetta ha acquistato in toto. Un passito di sorbara prodotto a Gargallo di Carpi, dalla vendemmia leggermente posticipata, non proprio tardiva. Alcuni grappoli vengono inseriti nel sottotetto delle arnie, dove temperatura e umidità simulano quelle delle camere di appassimento artificiale. Mentre l’uva inizia ad appassire, le api ne ricoprono gli acini con la loro melassa e propoli per proteggerla dalle muffe. Il processo dura circa venti-trenta giorni, poi viene diraspata, messa in pressa e fa una prima fermentazione spontanea in vasca aperta, viene poi imbottigliata, ancora con un bel residuo zuccherino. In primavera fa la seconda rifermentazione, classica, come i lambruschi, in cui si esaurisce un’altra  percentuale di zuccheri e lì prende un’effervescenza delicata e croccante. Ne esce una sorta di splendido rosé con l’acidità del sorbara, bilanciata dalle note abboccate e dolci del miele che spalleggiano quelle balsamiche e amaricanti della propoli.

Il Sorbetto Sant’Anna nasce dalla collaborazione con l’omonimo carcere di Modena, che ha un’azienda agricola di quattro ettari al suo interno, dove alcuni detenuti lavorano alla produzione di ortaggi biologici. Come i pomodori utilizzati in questo caso per un sorbetto, con basilico fresco, olio di foglie di basilico e l’aggiunta di un tocco di gin Tabar Casoni, dal tabarro, il mantello invernale tipico della “bassa”.

Nella piccola pasticceria, oltra al croccante di mandorle, paprica e pepe, è inclusa la torta di pane raffermo, cioccolato, amaretti che sintetizza il senso del recupero insito nel dna di tutta la Francescana Family. Eliminare lo spreco come facevano le rezdore ingegnose con quello che rimaneva nella credenza e che doveva ritrovare l’utilizzo più fruttuoso possibile.


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