Massimiliano Mascia. La creatività che attornia i classici al San Domenico di Imola
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Una cuisine dove l’estro si muove intorno ai capisaldi dell’alta cucina in un lussuoso comfort food di una eleganza senza età


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Il cuoco dei re, il re dei cuochi, così era chiamato Nino Bergese per aver condotto per anni le cucine delle nobili famiglie italiane, fra cui i cerimonieri di Casa Savoia, e proprio per questa sua esperienza blasonata fu coinvolto da Gianlugi Morini nel suo progetto di ristorazione a Imola. Era il 1970 e il San Domenico aveva appena aperto, l’idea di Morini era quella del circolo privato in cui offrire una cucina dai sapori casalinghi, in un ambiente di estrema eleganza, fra argenti e cristalli pregiati, ad elevato tasso di esclusività. Ad affiancare Bergese, venne reclutato un sedicenne Valentino Marcattili che, condividendo l’esperienza con il fratello Natale direttore di sala, fece arrivare la prima stella Michelin nel 1975 e la seconda dopo due anni.  Da quel momento Valentino iniziò a collezionare una preziosa serie di stage in Francia, nonché una nutrita lista di consulenze in tutto il mondo e questa inclinazione all’internazionalità sfociò nell’apertura nel 1988 del San Domenico a New York. L’unico ristorante italiano a ricevere le tre stelle del New York Times e che Esquire Magazine proclamòBest of the Year”. Erano gli anni in cui non era così frequente fare avanti e indietro dall’America come invece facevano i fratelli Marcattili, per la gioia del loro nipotino Massimiliano, figlio della sorella, a cui arrivavano regali e giochi introvabili all’epoca in Italia. Lui non sapeva ancora, o forse sì, che dopo qualche decade il timone del San Domenico sarebbe stato suo. Senza prima sedimentare una solida formazione partita dall’alberghiero e continuata con un viaggio fra gli Stati Uniti e la Francia di Monsieur Ducasse, passando per Vissani e Romano a Viareggio.

Massimiliano, qui la video intervista, ci accompagna in un tour in cantina,nei sotterranei del ristorante risalenti al 1400. Sono circa 2500 le etichette fra vini, prevalentemente italiani e francesi e distillati, Armagnac e Bas Armagnac di fine ‘800, diversi i pezzi da collezione acquistati all’asta da Gianlugi Morini risalenti all’epoca napoleonica. Prossima alle scale di accesso, la sala per chi ama gustare una cena, o una verticale fra antiche mura che emanano storia e circondati da bottiglie di alto livello. Attraversando uno dei corridoi, con un profondo pozzo che aiuta nel mantenimento della temperatura, si raggiunge la sala delle vecchie annate dove da qualche anno si può godere di una carta di circa un centinaio di etichette dell’ultimo trentennio con bottiglie a partire dall‘85. E prima di tornare in superficie per incontrare i piatti si transita davanti alle Riserve di Biondi Santi che partono dal ‘45 in poi.



Lo stile degli interni è di una eleganza senza età, dove argenti, tappezzerie floreali e divani chesterfield si combinano alle opere di Schifano, Festa e Angeli, il classico che si amalgama al pop sortendo una fastosità equilibrata, mai eccessiva. Come per la cuisine, un lussuoso comfort food, dove si lavora di creatività attorno a capisaldi come l’uovo in raviolo che viene fatto precedere da un filetto di sgombro arrostito con pomodorini profumati al basilico, una carrellata di territorialità con i bonbon di parmigiano con una mousse di mortadella e pistacchio e la violazione della sacralità del tortellino che viene fritto e trasformato in un vincente fingerfood. In aggiunta, una oliva con ripieno di carne e grissini alla paprica abbinati alla maionese di rucola.

Una orientaleggiante coda di mazzancolla in crosta di corn flakes, accompagnata da una salsa in agrodolce a una mousseline alla soia, con gocce di carota all’anice stellato e spinaci saltati al sesamo gioca alla tempura.

Il guanciale di vitello brasato, riconduce al classicheggiante, appoggiato alla sua  riduzione, con zucchine croccanti, funghi e cialda di parmigiano.

La piccola pasticceria precede il dessert con bignè con ganache e frutti di bosco, opéra, un cubetto di zuppa inglese, cannolo con lampone e crumble di pistacchio. Ed è la torta fiorentina di Nino Bergese a chiudere con la sua lucidissima glassa al cioccolato profiterole, salsa di albicocche e gelato al cioccolato.


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