Nicola Gronchi e la nuova era di Romano a Viareggio fra slanci creativi e rispetto della storia
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Il cuoco di Carrara e il patron Roberto Franceschini ci raccontano come sta andando il loro sodalizio. E come lo chef ha salvato la sua precedente stella Michelin


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Per i ristoranti che hanno scritto pagine di storia dell’alta cucina, arriva inevitabile una delle note più dolenti di ogni attività ristorativa, il cambio generazionale. Dove in una realtà con una cifra stilistica di successo, apprezzata dai clienti e costruita in anni di ricerca si rende necessario innestare una nuova forza creativa, giovane, che sappia mantenere l’estetica caratterizzante del posto, ammantandola di contemporaneità. Romano a Viareggio, dal’alto dei suoi inossidabili 54 anni di attività, rappresenta uno degli esempi più prodigiosi di questo processo. 

Oggi è Nicola Gronchi a condurre la cucina, ingaggiato dalla sagacia imprenditoriale di Roberto Franceschini, figlio dei fondatori Romano e Franca, proprietario e direttore di sala insieme al padre. Che oltre a essere una maestro in sala è da oltre mezzo secolo in prima linea, ora insieme a chef Nicola, sulla banchina viareggina per assicurarsi il pesce migliore. E solo da Viareggio arriva la materia prima che ritroviamo nei piatti di Gronchi, cuoco che mette al servizio del suo talento un incessante lavoro di ricerca proiettato al perfezionamento continuo della sua estetica, di concetti e realizzazioni. Nella videointervista ci racconta come ha impostato il suo nuovo progetto di cucina e come è realmente andata l’anno scorso la rocambolesca assegnazione della sua stella Michelin.



Roberto Franceschini ci parla nel video del nuovo corso di Romano e dell’incontro con lo chef Nicola Gronchi che si è trasformato in un sodalizio vincente.

Nello sgombro fra saor e carpione, il pesce si insaporisce degli ingredienti comuni alle due tradizionali preparazioni, come la cipolla e l’aceto che creano chiaroscuri agrodolci.  Gli elementi classici della panzanella, pomodoro, basilico, cipolla rossa si amalgamano alla delicatezza della tartare di sugarello, in questa versione marittima proposta da Gronchi, che aggiunge anche una spuma di acqua di pomodoro.

Diverse gradazioni di ostrica Gillardeau si ricongiungono al bivalve nel suo guscio, sotto forma di emulsione e schiuma di ostrica, per un concentrato di sapidità litoranea; a dispensare dolcezza ci pensa lo sparnocchio, in equilibrio sulla freschezza del centrifugato di cetriolo.
Il filetto di ricciola viene scottato solo da un lato, per gustarne in contemporanea diverse consistenze e temperature, con la spinta gustativa di una salsa di ricciola al limone, fra sequenze dolci e sapide dei cubetti di melone, della polvere di cappero e miso. 

Una crema di mais alla base del piatto ospita il polpo grigliato. Materia prima eccelsa, come solo da Romano, che si autocelebra con la sua emulsione, beneficiando della semplice freschezza vegetale e marina di una lattughina di mare, una lattuga romana, e dell’asprezza gentile dell’acetosa. 
L’edizione del cappon magro griffata Gronchi predilige i legumi per la parte vegetale, come gli autoctoni fagioli schiaccioni e i fagiolini su cui troneggiano degli strabilianti gamberi gobbetti, cotti in acqua di mare.

La collosità piaciona tipica della trippa di baccalà si congiunge trionfalmente alla vischiosità terrosa del brodo di funghi cardoncelli, di cui si ritrova l’aroma in formato masticabile nei cardoncelli arrostiti al barbecue. Puntinature acidule e pungenti animano le papille quando si immerge il cucchiaio sul fondo che ospita crauti fermentati e zenzero.
Riflettori puntati sullo scorfano nel ruolo di protagonista, che tralascia il gioco di squadra abituato a svolgere nel cacciucco, per esibire in solitaria il suo sapore, garbato ma definito, rinvigorito dalla leggera piccantezza della salsa dello stesso pesce unito al curry. Con insalata di taccole, pak-choi e il divertissement delle lumachine di mare. 

Il trancio di morone viene presentato in una ricodifica di un piatto storico di Romano, l’acquapazza, proposto qui con una tagliata di pomodori rossi e gialli e una emulsione di aceto balsamico

Il crostino alle arselle, in arte telline, è una specialità tradizionale del litorale versiliese. Una preparazione dalla semplicità disarmante – molluschi scottati in padella “spalmati” su una fetta di pane abbrustolito – capace di scatenare in chiunque una avidità inaudita. Gronchi la trasla nel futuro, con la naturalezza che solo chi è dotato di temerario carisma può sfoderare. Mantenendone l’estrema intelligibilità e dotandola di copioso magnetismo gustativo. Quindi il pane diventa un crumble, frantumato dopo essere stato fritto nell’olio di semi, per fare da copertura, nell’ordine, a un ragù di arselle, a maionese all’aglio nero e a una salsa chili con pomodori ramati, salsa di soia, miele e peperoncino. 

Chef Gronchi è abilissimo nel progettare preparazioni e farne subito decollare l’effetto, facendolo poi planare in territori espressivi spesso ignorati o trascurati fino a quel momento. Ed è in questi casi che nascono piatti dalla personalità possente e poliedrica, che inevitabilmente dividono i consensi. Come questo risotto, che, dice lo chef, o è adorato, o non considerato, senza vie di mezzo. Il riso Riserva San Massimo viene mantecato con un sedano rapa al barbecue, rafano, burro acido, burro affumicato e olio extravergine, e in questa girandola di amari e acidi, si crogiola la dolcezza dei ricci di mare, con l’intermittenza iodata dei cubetti di sgombro.
Lo spaghetto di Pastificio dei Campi è condito con aglio, olio, peperoncino e battuta di scampi. Di solito è il gambero biondo il protagonista di questo piatto, ma come si sa qui è il mare che comanda, e oggi a sostituirlo egregiamente c’è lo scampo. A chiudere, il riff sapido e amarognolo della bottarga di Cabras e della polvere di olive.

Ricordo di una impepata di cozze è un’ode alla sostenibilità che nasce dal riciclo del pane avanzato, prima essiccato e poi lavorato per ottenere una pasta fresca da cui vengono forgiati questi azzeccatissimi cappellacci. Il cui ripieno, liquido e nitido di sapore, composto da maionese e salsa allioli – olio di oliva e limone – è una spiazzante detonazione di impepata.

L’ottima lingua di vitella viene marinata 24 ore nello zucchero, cotta in court bouillon, una breve bollitura aromatizzata da cipolla, sedano e carota; poi arrostita irruentemente come una scaloppa di foie gras. Nel piatto, a conferirle una fresca balsamicità, una salsa profumata all’anice stellato, bagnetto verde, peperoni, insalata di mizuna, cerfoglio.
La zucchina, in varie declinazioni, accompagna il rombo chiodato, nature, appena scottata e in salsa con colatura di alici e con il suo fiore in tempura. Ad arrotondare, le note tostate e di nocciola di un cremoso ai pinoli.

Si ispira ai leggendari panini toscani al lampredotto il bun ripieno di coratella di agnello ingentilita da cipolla stufata e in agrodolce. Prima di servirlo viene inzuppato nella salsa della coratella come da manuale ed è rigorosamente da mangiare con le mani.

Aprono il sipario al dessert una pesca al vino rosso, con emulsione di mascarpone e fiori di nasturzio. E lo yogurt in quattro consistenze: zuppetta, gelato, mousse, meringa, più mirtillo fresco.

La giovane pasticcera Anna Ciari, venticinquenne, di Carrara come Gronchi, lavora su concetti di contemporanea voluttuosità come la procace crostata ribaltata, con crema pasticcera al limone, pistacchi sabbiati, frutti rossi, fragole. O nella traduzione vegetale, con pesca tabacchiera, mandorla, cremoso alla mandorla, gelato e centrifuga alla pesca.


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