Matteo Lorenzini allievo di Alain Ducasse, per oltre sei anni nelle sue brigate, si può fregiare dell’attitudine ad evangelist della haute cuisine française
“La cucina francese è il riferimento in materia tecnica di tutta la gastronomia mondiale. Può contare sulla più ampia varietà di modalità di cottura: grillé, sauté, rôti, poêlé, mijoté, à l’étouffée, poché – mentre le altre tradizioni culinarie si basano su un esiguo numero di tecniche. Ha inventato una gamma unica di sauces, bouillons, jus, fumets, marinades ed émulsions. Padroneggia perfettamente la tecnica di concentrazione dei sapori. Infine, opera con una gamma estremamente ampia di prodotti, sapori e texture con cui solo la cucina asiatica può competere.” Queste parole di Alain Ducasse descrivono in sintesi come si è forgiata la cifra stilistica di Matteo Lorenzini, executive chef del SE·STO On Arno dal 2015. Fra i pochi allievi italiani del maestro francese ad aver prestato servizio nelle sue brigate per oltre sei anni, che si può fregiare dell’attitudine ad evangelist della haute cuisine française. Venerazione che si svela durante i suoi rari, per scelta, cooking show, quando illustra ad esempio la distinzione manichea fra la cucina francese, unica alta cucina e tutte le altre, del resto del mondo, che pariteticamente, come in un globale secondo posto ex aequo, si aggiudicano l’appellativo di cucine etniche.
Il rigore, la dedizione e la minuziosaggine di chef Lorenzini raggiungono livelli che gli forniscono l’energia per approcciare il suo lavoro quotidiano oltre il passe come se fosse l’allenamento per la finale del MOF. Il concorso vinto nel 2011 da Philippe Mille, che Lorenzini affiancò negli allenamenti, durante la sua tappa professionale a Les Crayères.
La tecnica è lo strumento per spianare la strada verso la perfezione di esecuzione, partendo dall’assunto che tutto è sempre perfettibile, evitando scientemente i punti di arrivo, in una inarrestabile progressione verso il miglioramento. Questa sua propensione è palpabile nelle salse, dalla consistenza impeccabile e nelle gelatine di rara trasparenza e lucentezza.
Si principia con un’ode alla Toscana, dove il popolare coccolo, la pasta fritta immancabile in apertura di menu nelle trattorie, qui non poteva che essere proposto nella sua versione Black Tie, facendosi elegante sostegno di una lamella di tartufo nero e una di pata negra.
L’ostrica è servita tiepida, con una spuma al lime di cui si impregnano le perle di tapioca contenute nella conchiglia, con la nota data dalla foglia di coriandolo, percepita di freschezza da chi non possiede la variazione genetica che la fa invece riscontrare saponosa.
È con la capasanta e il granchio marinati, attorniati da una vivida e cristallina fine gelée de poisson de roche che si preme il tasto del teletrasporto verso il Louis XV, tempio della formazione ducassiana di Lorenzini, qui alla dolcezza del crostaceo e del mollusco si frappone lo iodio della salsa di salicornia e del caviale, dove i sapori rivaleggiano per affermare ciascuno la propria supremazia di intensità e persistenza.
Il turbante di udon, è la prova della caparbietà che riesce a perfezionare qualcosa già considerato oggettivamente perfetto come il turbante di spaghetti di Joël Robuchon. L’alternativa orientale alla pasta che pur rimanendo al dente è molto più malleabile nella disposizione circolare. Il gusto dirompente del ristretto di astice blu viene attenuato dall’emulsione di Albufera e dal tartufo nero.
Di una gustosità ostinatamente shocking il fumetto di scoglio in cui viene cotto il riso, presentato con gamberi rosa crudi e le tenui note salmastro-erbacee della salicornia.
La delicatezza dell’ombrina è rinvigorita dall’astringenza tannica dei carciofi e della salsa di topinambur dalla texture ineccepibilmente raffinata; la salsa barigoule, memoria dell’omaggio a Ducasse del periodo Tre Lune, con un generoso contributo di tartufo bianco.
Elegantemente avvolgente la succulenza del millefoglie di cubetti di vitello intervallati da altrettanti di foie gras, entrambi arrostiti, con un incisivo ristretto a spingere sulla persistenza gustativa. Congiunto ad un cilindro di patata impinguata di rigatino, lievemente contrastato dal limone. Una sorta di gratin dauphinois del granducato.
Il resettaggio del palato è appannaggio dell’amarognolo e dell’asprigno della rucola in modalità sorbetto, unito alla freschezza di una gelatina alla birra di zenzero.
Luca Tempestini e Simone Dimotta redigono la proposta dei dessert che classicheggia con accenti di contemporaneità. Come il Giardino zen ai cioccolati e frutti tropicali composto da differenti espressioni di cioccolato Manjari al 64% Valrhona, dalla tenace acidità interrotta da note fruttate, per questo accompagnate da mousses di frutti esotici.
SE·STO on Arno Rooftop Restaurant
Piazza Ognissanti, 3 – Firenze
Tel. 055 27151