Gianluca Renzi stella Michelin a I Portici di Bologna incalza nella sua rara capacità di dominare la tradizione e simboleggiare il territorio
Chissà se nel 1896 avrebbe mai immaginato l’ingegner Maccaferri che i portici del suo palazzo tra Via Indipendenza e la Montagnola, oggi I Portici Hotel, sarebbero diventati dopo 125 anni Patrimonio dell’Unesco. Sebbene solo un frammento dei 62 km complessivi considerati l’emblema della città di Bologna sia dai locali che dai turisti, un valido esempio di aggregazione in cui spazi religiosi, civili, commerciali si integrano da dieci secoli ormai. L’edificio è un inno al Liberty con i suoi 1.500 mq di affreschi e pitture floreali distribuiti su pareti e soffitti dei cinque piani, ma che a fine ‘800, epoca della costruzione, era anche un esempio di avanguardia. Per l’utilizzo di ferro e ghisa e per l’innovativo impianto di riscaldamento con termosifoni, probabilmente il primo in città. Dopo essere stato sede dell’Enel negli anni ‘60, nel 2007 diviene hotel, uno dei più lussuosi a Bologna, con le sue camere dagli affreschi aggraziati con vista sulla Montagnola e con l’unico ristorante Stella Michelin in città. Da parte del Gruppo Imperial e della Società di Gestione che ha sviluppato tutti i Brand de I Portici, è un continuo proliferare di progetti che forniscano sempre maggiore valorizzazione a questo prezioso luogo storico. “Da quattro anni” ci racconta il CEO Riccardo Bacchi Reggiani “con le prime serate primaverili apriamo la Pizzeria Portici, sulla Terrazza del Pincio, il dehors dove sia gli ospiti dell’hotel che il pubblico esterno possono gustare una autentica pizza napoletana con i topping curati dal nostro chef Gianluca Renzi e godere della vista sulla celebre scalinata della Montagnola”. E qui all’imbrunire, l’illuminazione originale dell’800 crea una suggestiva atmosfera dal fascino rétro.
Spostandosi verso le due torri, quindici minuti a piedi dall’hotel, arrivando proprio davanti alla Garisenda e degli Asinelli, la Bottega Portici occupa il piano terra del Palazzo dell’architetto Melchiorre Bega a Piazza Ravegnana. Per molti anni sede di Intesa San Paolo, poi rilevato dal Gruppo Imperial per trasformarlo, attraverso il team de I Portici in attività ristorativa e dare una connotazione contemporanea alla granitica tradizione bolognese. Quindi all’ingresso, una offerta di tipicità gastronomiche locali, una per tutte i tortellini. Da fruire in modalità fast, con tanto di vetrina con sfogline all’opera. Al secondo piano una sala, con una parte per eventi privati e la terrazza con il più bell’affaccio che ha in assoluto un luogo pubblico a Bologna. Una vista magnetica sulle due torri, tanto che sembra di toccarle. Un piano è dedicato alla divulgazione del sapere culinario, la Portici Academy è la scuola di cucina dove si impara o si approfondisce la tradizione bolognese, ma in un’ottica attuale e proprio per questo ha un ottimo ascendente sulle giovani, anche giovanissime generazioni. La stessa dello chef Gianluca Renzi peraltro, che da due anni ha in carico la supervisione di tutta l’offerta ristorativa del gruppo, con specifico focus sul ristorante stellato dell’hotel, dove sfodera un dominio della tecnica costantemente in ascesa. Con un ingegno sistematico nell’alimentare doviziosamente il suo talento, avendo ben nitido in mente quale sia l’unico modo per farlo. Attraverso un impegno e uno studio parossistici. Ma soprattutto dimostrando una capacità rara nel geolocalizzare idee e pensieri che stanno alla base della sua cucina e che non smettono mai di sgorgare zampillanti a fronte di una tradizione che per molti invece significa scialbore. Ben cosciente che questo si traduce in divertimento e goduria diffusa per chi si siede ai tavoli de I Portici.
L’apertura ha già l’impronta della visione di cucina renziana, espressa attraverso la narrazione dei luoghi che lo hanno accolto nel suo itinerario professionale. Ora è Bologna… La Grassa, rappresentata da una mousse forgiata a musetto di maialino, ispirata allo storico stecco petroniano, con due parti di mortadella e una parte di Edammer.
Bologna La Rossa, in cui una sfera di pomodoro e cipolla si appoggia a un cracker croccante.
Bologna La Dotta, una tigella con mostarda di barbabietola e carota; insieme a una crescentina con lardo di Colonnata e chutney di mela.
Un macaron di rapa rossa e crema di aglio nero di Voghiera, mentre è una fusione fra Bologna e il Giappone il bao fritto farcito con ragù alla bolognese, besciamella e semi di sesamo.
All’arrivo dei panificati del pastry chef Matteo Corridore, anche solo alla vista si evince che siamo davanti a un “cestino del pane” degno di un tristellato, sia per l’ampia varietà che per la pregevole esecuzione. È composto da un pane integrale con lievito naturale. Sfogliate con Parmigiano Reggiano, semi di papavero, pepe nero. Un tarallo non lievitato aromatizzato alla cipolla. Focaccia romana. Pane alle olive. Le streghette bolognesi, nate in origine per testare la temperatura del forno; si infornava un sottile strato di pasta, quando diventava croccante, il forno era pronto.
Grissini curcuma e zenzero. Olio di oliva e origano di Pantelleria. Capperi e pomodorini secchi. Da intingere in un burro mantecato con yogurt, rafano e succo di limone. O in olio extravergine Riserva Marfuga di Perugia, un blend di leccino, frantoio, moraiolo dall’accento amarognolo, leggermente piccante.
Il Pan dorato è un omaggio alla tradizione romana che insegnava a recuperare il pane avanzato passandolo nell’uovo per poi friggerlo. Qui viene ornato con crème fraiche, uova di salmone, erba cipollina, foglia d’oro. E un brodo di cipolla di medicina con crosta di parmigiano.
Il carpaccio di spigola viene marinato nel curry verde e proposto con banana fermentata, chips croccante di banana e peperone, basilico. Quando la delicatezza diventa dirompente in un ossimoro perfetto.
Un leggero velo di tonno crudo avvolge un pomodorino confit affumicato, e si crogiola in un freschissimo gel di estratto alle verdure della panzanella, puntinata dal sentore amarognolo delle olive taggiasche.
Due preparazioni per il foie gras d’anatra, piatto dall’estetica vibrante e non da meno al palato. Marinato alle cinque spezie e grano saraceno. Marinato al madeira e al porto bianco. Con un chutney di mela cocomerina e uno in cui la mela cocomerina è fermentata, per acidulare a tratti. Una salsa alla camomilla media il tutto.
Il concetto alla base dei fagottelli è nato intorno alle gradazioni di umami nelle diverse stagionature del Parmigiano Reggiano. La farcitura liquida della pasta è un 24 mesi, l’acqua che li accoglie è di un 12 mesi e un intenso e concentrato 36 mesi viene grattugiato sopra.
È l’emblema della golosità marina il fusillone Felicetti mantecato nell’acqua di cozze, crema di ricci di mare e mandorla, nero di seppia, seppia, prezzemolo, ricci di mare freschi.
Dopo una leggera grigliatura sull’hibachi, la capasanta della Normandia si accompagna a un cipollotto scottato, patata ossidata e alga. Una salsa al vermont vivifica in aromaticità e piselli e fave crudi propagano freschezza. Come divertissement un lollipop di frittata asiatica di farina di riso, zenzero, soia ripassata in tempura e fritta.
L’animella si scialla fra le note amare della crema di radici e della cicoria saltata, con i semi di senape marinati all’aceto balsamico per una pungenza acidula e la piacevolezza croccante dei fiori di zucca.
Indivia belga ai frutti rossi e una salsa di foie gras e tartufo si accostano al lombo di capriolo, il cui filetto è diventato il ripieno di una mini bomba salata ornata di caviale.
Perfetto il piccione di Casa Ceccatelli cotto all’osso, con scorzonera alle arachidi salate, crema di mela cocomerina e una neve di lambrusco Paltrinieri che modula in acidità. Le Coscette sono impanate poi fritte e i fegatini serviti con una pallina di ribes.
La scena ora è tutta per Matteo Corridore, talentuoso pastry chef che ci traghetta verso i dessert con un preludio alla crema di noci macadamia, sorbetto al mango e passion fruit, neve di yogurt e petali di rosa.
Squisite ed eleganti le sfere al cioccolato bianco, una lucidissima con cuore di lampone, l’altra con esterno aerografato sempre al lampone intervallate da un sorbetto al litchi sorretto da una dacquoise di cocco e ricoperto da gelatina alle rose e lamponi azotati.
Appoggiata a una frolla, la bavarese alle mandorle accompagna un latte in piedi alla mandorla dolce, una quenelle di gelato al marzapane di Provenza appiana i picchi aromatici e il caramello salato pungola piacevolmente il palato.
Un disco di raffinato biscotto al cioccolato nasconde un cremoso al cioccolato, una ganache al cardamomo, con le sue note di menta e limone, e una quenelle di gelato al caffè a chiudere.
I divertimenti finali sono ispirati a sei dei sette segreti di Bologna:
La finestra sul Reno di via Piella che ricorda i canali veneziani ha ispirato un tiramisù.
La scritta sotto i portici di via Indipendenza “panis vita, canabis protectio, vinum laetitia” viene ricordata da un biscottino alla canapa.
Il dito di Nettuno è rappresentato da un cioccolatino all’acqua di mare e caramello salato.
Le voci del colonnato è il segreto che si riferisce alla volta di Palazzo del Podestà che trasmette suoni nitidi anche solo se si sussurra da un angolo all’altro, come un telefono senza fili. Ed è un cubetto di zucchero cristallizzato ripieno a evocarlo.
I cioccolati del cremino sono tre come le frecce conficcate nelle travi di legno nel porticato di Strada Maggiore, all’ingresso di Corte Isolani.
Il vaso rotto in cima alla Torre degli Asinelli si dice porti fortuna per la laurea a chi lo trova, qui l’alloro delle corone dei neo laureati diventa polvere ornamentale diun cioccolatino fondente.
Ma la chiusura definitiva è tutta romana, come le origini di chef Renzi, con il maritozzo alla panna.