Il CAAA di Pietro Catalano. Intuizioni fluenti, sapori sonori e Intelligenza Artificiale

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A Lucerna, il progetto dello chef Pietro Catalano fonde sostanza nei piatti, attitudine per l’inaspettato e tecnologia


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“Vorrei che le persone andassero al ristorante con lo stesso spirito con cui vanno all’opera” ci confessa sognante lo chef Pietro Catalano, facendo emergere il suo passato da musicista, laureato in tromba all’Università di Scienze Applicate di Lucerna. Ma la cucina è stato un affare di famiglia e l’imprinting è arrivato quando da bambino trascorreva le giornate nei ristoranti dei genitori. Ed è quando le inclinazioni e le attitudini si mischiano, come in questo caso musica e gastronomia, che le idee subiscono le influenze più anticonvenzionali e si traducono in progetti dal fascino fuori dal comune. 



A partire dall’insegna CAAA, con le tre A che affiorano dal cognome, in una sorta di codice fiscale al contrario, dove sono le vocali ad avere la meglio. Aperto quattro mesi fa al numero 19 della Haldenstrasse, si trova proprio di fronte al Grand Hôtel National di Lucerna, che a fine ottocento il direttore César Ritz trasformò nel più elegante albergo  d’Europa. Prima di Monaco e Parigi, fu Lucerna infatti ad accogliere il creatore supremo del concetto di ospitalità di lusso, che ne fece una meta obbligata per l’aristocrazia più facoltosa del Vecchio Continente. Oggi, oltre a vantare il ponte coperto più antico d’Europa, è una città deliziante per l’armonia con cui condividono le rive del lago dei Quattro Cantoni l’art nouveau degli hotel e l’estetica avveniristica di edifici come il centro congressi di Jean Nouvel. Che incorpora due canali dove si insinua l’acqua del lago creando una visuale in cui il palazzo sembra galleggiare. 

Lo stesso luogo che Pietro, la moglie Elena e la sorella Stefania, soci del progetto, hanno scelto per la loro avventura ristorativa ha un valore estetico significativo. Ricavato da una porzione della galleria d’arte Impulse Gallery, il ristorante comunica con l’elegante spazio espositivo ed è partner esclusivo per la parte gastronomica degli eventi speciali e degli opening. “Quando abbiamo visto questo spazio – racconta Catalano nel video – abbiamo capito che combaciava esattamente con l’idea di design che avevamo in mente per il ristorante. Abbiamo contattato lo studio External Reference che ha raccolto i nostri concetti di naturalità e innovazione sottoponendoli all’Intelligenza Artificiale, che ha fornito l’output estetico del ristorante ”.

Il CAAA in questo momento è l’unico locale – probabilmente al mondo – che ha il soffitto completamente stampato in 3D, di un materiale che amalgama legno e plastica biodegradabile, che simboleggia le montagne, innestato in un design ultra contemporaneo, evocativo di una natura pulsante che si esprime attraverso la tecnologia. I toni sono quelli neutri del legno di pino, le linee essenziali e ricercate, l’illuminazione è suadente, su due grandi schermi passano lente le immagini di vigne e scorci montani. La musica unica e originale, è studiata appositamente da Domenico, fratello di Pietro, primo trombone dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Il progetto è curato dal designer palermitano Carmelo Zappulla, fondatore dello studio barcellonese External Reference, che in quindici anni di apertura ha ricevuto diversi premi per aver creato spazi sperimentali attraverso media digitali e fisici dissolvendo i confini tra architettura, arte e digital.

Catalano e la moglie arrivano da una precedente importante esperienza di gestione di un rifugio sui monti del Canton Vallese, dove lo chef ha proposto con successo la sua alta cucina transalpina, ottenendo ottimi riconoscimenti dalla critica e apprezzamenti lusinghieri dal pubblico.

In questo scenario gli ospiti sono accolti da subito al bancone dell’area bar dove si muove con disinvolta perizia il giovanissimo bartender Rafael Alarjo, originario di San Sebastian, con una carta dei cocktail firmata da un virtuoso della mixology come Andrei Bolshakov. Già presenza consolidata della 50 Best bars. Fra i drink, che saranno parte integrante del vivace pairing durante tutta la cena, si distinguono Fireplace, un old fashion con twist di sandalo e ilang-ilang e Waterfall, ispirato alle cascate delle sorgenti di montagna, con gli aromi agrumati dello yuzu di un gin giapponese, i sentori di pietre bagnate del sakè, distillato di menta e acqua frizzante. Che si affiancano ai ricordi mangerecci di Pietro e Stefania bambini, le “braciole di riso” della nonna calabrese, crocchette di riso, parmigiano e polvere di basilico. Il panino con la mortadella delle giornate in spiaggia diventato un cannolo di pasta fillo, ripieno di spuma del salume, essenza di bergamotto e pistacchio; pâte à choux con crema al tartufo, protagonista delle gite alla fiera di Alba. 

Cambio scena e si passa al tavolo, in una sala con vista panoramica sulla cucina, totalmente aperta, che permette anche allo chef di servire i piatti, spesso completandoli al tavolo, in un andirivieni fluido fra i fuochi, i gueridon e una mise en place minimale e ricercata, tovaglioli in puro lino e porcellane create artigianalmente su misura.
Gran parte dello studio di chef Pietro avviene sui prodotti, che arrivano principalmente dalle Alpi, da allevatori, contadini e casari che animano il mercato di Lucerna il martedì e il sabato, a cui rimandano gli snack di benvenuto. Una mousse di patate, noce moscata, fava di tonka, olio di abete rosso, coda di bue.
Rimbalzano toni dolci e piccanti nella tartelletta di grano saraceno, crema di patate dolci, gel di porto, gel di gelsomino, ricotta fatta in casa, quinoa croccante, il polline a ingentilire la piccantezza e sopra, un sablé di ceci e crema di ‘nduja. 
Al maso Frisch vo de Tanne, a mezz’ora da Lucerna, pascolano una trentina di vacche di razza Piemontese e arriva da lì il lombo marinato in sale zucchero e caffè, gel di susina gialla fermentata, limone, tagliato sottilissimo. 
Una ricodifica dell’Älplermagronen, ripropone la tipicità svizzera traducibile in “maccheroni del pastore alpino” come un sablé di cipolla, crema di formaggio, riduzione di mela e mela fresca.

Il fazzoletto, reinterpretazione poetica del tovagliolo in cui vengono avvolti gli agnolotti del plin ripieni di funghi shiitake e porcini. Accompagnati da un brodo di bosco, dalla cottura dei funghi, essenza di pino, dove non viene immersa la pasta, ma è da bere successivamente. 

È impastato con farina ottenuta da macine di un molino che ha più di 400 anni, sempre appartenuto della stessa famiglia, il pane di Catalano, che va diretto nella “family bag” da portar via quando avanza. Il burro è fatto in casa, con la panna del mercato, lasciata a temperatura ambiente per 48 ore, poi tenuto un giorno in frigo, viene poi aggiunta una parte di beurre noisette e fleur de sel. Ma c’è anche l’olio, fatto dalla famiglia Catalano con le olive dell’oliveto calabrese.
Quelle che vengono presentate come olive alpine sono in realtà mirtilli fermentati, dai sentori che richiamano le olive taggiasche.

È un comfort sofisticato quello della patata cotta in forno, svuotata della polpa con la quale viene creato un soufflé, con cioccolato bianco, uovo e burro, servita con caviale, senape, fiore di senape, salsa di aneto.

Una bouillabaisse di solo salmerino alpino ricopre lo stesso pesce, insieme a scaglie di sedano rapa sottaceto e zafferano di Mund nel Canton Vallese, una piccola coltivazione gestita da sette famiglie di agricoltori. 

Tipica preparazione lucernese, il Chügelipastete o Fritschi è una sorta di torta salata ripiena di carne. Catalano la riscrive attraverso un filetto di vitello ripieno della stessa carne macinata, ricoperto di champignon, verza, tartufo e un gel di uva passa e jus di vitello. La torta viene ricordata da un anello di pasta sfoglia. Perché quando le intuizioni sono fluenti, la sostanza e il comfort possono avere una convincente connotazione raffinata.

La Religieuse, come si chiama nell’area Vallese, è la seducente fonduta di montagna che ricopre un fondo mirtillo fermentato per acidificare, guarnita da una generosa grattata di tartufo del Périgord.

La parte dolce del menu, che ritrova nella côté liquida un kefir con lamponi e ibiscus, si avvia con un biscotto di grano saraceno e crusca, crema di grano saraceno, gelato e cialda alla pera, sfera di balsamico.
Mentre è la barbabietola rossa a padroneggiare nel dessert principale, con olio affumicato, mousse di yogurt affumicato, barbabietola reidratata nel suo succo, nocciola, sablé di nocciola, crema di nocciola, gelato di yogurt, chips di barbabietola.
Accessoriato con una tortina di nocciola, ripiena di crema di nocciola e barbabietola.

Torta di carota e gel di finger lime e zenzero
Krapfen ripieno di cioccolato bianco e caviale
Pralina alla vaniglia
Baci al cioccolato, spuma di nocciola e arancia, ricoperti di cioccolato amaro
Bacio di dama al succo fresco di polpa di cacao


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