Il giovane chef Antonio Guerra scompiglia gli assiomi della cucina toscana al Vitique di Greve in Chianti
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In una ex distilleria, il nuovo ristorante di Santa Margherita Vini affida a un team di giovanissimi la ricodifica della classicità


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La cucina toscana secondo la Net Generation. È assodato che sulla tradizione aleggia un’aura di soggezione insieme all’indelebile avvertenza “maneggiare con cura”. Ma è pur sempre stimolante scompigliare gli assiomi, i capisaldi di nonne e balie, ma anche di grandi cuochi. Per reimmaginare la classicità dalla prospettiva fresca e sbarazzina di chi è figlio dei cambiamenti veloci e si muove agilmente tra comunicazione e tecnologie. Questo accade nel bel mezzo del Chianti, a Greve, dove il contesto geografico e storico è notoriamente ammantato da una solida aura di classicità. Qui il gruppo vinicolo Santa Margherita, di origine veneta ma con vigne e cantine in altre cinque regioni italiane, fa base negli spazi di un ex impianto di distillazione di grappa. Che ora ospita il Santa Margherita Tenimenti Toscani, una cantina hi-tech, un wineshop rinforzato anche da altri prodotti alimentari di alta qualità, un bistrot adiacente al ristorante, Vitique, che nel nome denota il legame a doppio nodo con il vino. Già dal restauro degli ambienti si evince che si tratta di un progetto che vira alla contemporaneità. Design pulito ed essenziale, fra acciaio, legno e cemento, rigore interrotto dalla poesia delle vigne che affiorano dagli affacci d’ordinanza sulle colline. La cucina è consegnata in toto nelle mani di Antonio Guerra, ventinovenne lombardo, ma già con un corposo elenco puntato nel curriculum, ultimo in ordine di tempo La Bottega del Buon Caffè con Antonello Sardi. Preceduto da Luigi Taglienti e Giancarlo Morelli che hanno contribuito a fornirgli un equo mix di tecnica e disciplina manageriale. Connotati che trovano una loro estensione anche nel servizio in sala e nella direzione generale dell’offerta ristorativa grazie alla capace e attenta gestione di Dario Nenci.

Già dall’aperitivo emerge che la materia prediletta è locale, ma le digressioni geografiche non mancano, perché il territorio non deve limitare ma deve ispirare i virtuosismi e la pratica dello spaziare. Quindi un rotolino di pasta ripieno di rigatino del Chianti con una grattatina di tartufo nero condivide la base di una sezione di tronco con una crocchetta di baccalà accentata da una goccia acidula di gelatina al limone.
Evocazioni campagnole in ricodifica alleggerita e attualizzata per i cappelletti dalla sfoglia casalinga, ripieni di caprino, con brunoise di cetriolo, cipolla rossa, in acqua di pomodoro chiarificata.
Con le agresti focaccine al burro e salvia, arriva la pagnotta appena sfornata da accompagnare a un voluttuoso beurre normand arricciato al tavolo o all’olio prodotto nella tenuta, un blend di leccino, moraiolo e frantoio.

Sempre di estremo comfort l’oeuf poché, che trova l’esatto completamento con la finissima e perfetta salsa bernese affumicata, con l’enfasi sapida del caviale e porri cotti alla brace. 
La tartare di scampo, irrobustita nel sapore dalla salsa di teste di scampi su cui si stende, acquisisce personalità grazie alla animella soffiata che l’accompagna. Con un rigo di salsa verde per un tono balsamico e polvere di limone bruciato a punteggiare lievemente di amaro.

Avvincente il match cotto/crudo tra seppia e spugnole. Alla base una tartare del mollusco condito essenzialmente con olio, sale e limone, un disco di pasta all’uovo la separa da una mixture di ragù di spugnole e gli stessi funghi cotti al barbecue.
Ha un impatto erculeo il risotto al Parmigiano stravecchio 72 mesi, condito con un ragù di lumache, un giro di fondo di arrosto e rosmarino essiccato, nel segno dell’umami conclamato.

L’anguilla affumicata valorizza i bottoni di patate alla cenere, dove l’amido e il grasso sono alleggeriti dallo scalogno e dalla presenza acida e citrica del karcadè.
Una nitida evocazione territoriale arriva con il cervo alla brace accompagnato da finferli, da impreziosire intingendolo in una composta di amarena, con camomilla e germogli di senape.
Il morone si presenta quasi nature, cotto alla brace, deviato sulla strada dell’amaro da una maionese al rafano e dal friggitello in abbinamento.

Opulento il dessert, una brioche artigianale farcita con gelato di pesca e cannella. 


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