L’Osteria da Oreste ospita la brigata del tre stelle Michelin Georges Blanc a Santarcangelo di Romagna
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I piatti del tre stelle Michelin Georges Blanc gustati nel comfort dell’Osteria da Oreste hanno portato il livello di goduria a innalzarsi esponenzialmente


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Sbalorditivo il cortocircuito di piacere assoluto creato da altissima cucina francese declinata in accezione romagnola, con l’approccio del solido senso di convivialità, che solo una osteria della Romagna può infondere. 



Otto giovani talentuosi della brigata guidata dal ventinovenne chef piemontese Matteo Rossatto dell’insegna tristellata Georges Blanc di Vonnas, insieme a Giorgio Rattini, Nicola Fanti e tutto il gruppo de l’Osteria da Oreste hanno proposto alcuni dei piatti più rappresentativi di uno dei ristoranti più blasonati di Francia. Stiamo parlando di una maison che ha ottenuto la prima stella Michelin nel 1929, la terza nel 1981, che detiene tuttora e lo conferma il più antico ristorante stellato del mondo. L’amicizia nata in Alma fra il suo giovane chef e il riccionese Rattini, che conduce la cucina da Oreste, ha dato vita a questa sorta di raro esperimento antropologico dagli esiti straordinari in cui l’atmosfera calorosa dell’osteria romagnola ha avvolto un percorso di sapori sortiti da sofisticate evoluzioni tecniche e di estrema raffinatezza stilistica. 

Guardando al curriculum di Rossatto si intuisce che è una sua predisposizione naturale quella di smontare le barriere fra le definizioni delle cucine, quella di creare connessioni tra le convenzioni che inventariano l’alta cucina e il cibo comfort in schedari separati. Le sue esperienze precedenti passano da Carlo Cracco a Trippa, al Louis XV di Alain Ducasse di Montecarlo. E anche in questo emergono le affinità con l’amico chef Rattini, che dopo alberghiero, Alma e tappe formative da Ciccio Sultano, Matteo Baronetto e Cracco, decide di intraprendere la strada della trattoria con gli altri soci Nicola Fanti, Lucia Chiavari e Alessandro Gotti. Una trattoria dalla visione contemporanea dove qualità, informalità ed etica del cibo si intrecciano verso l’obiettivo unico di generare piacevolezza. 

Special guest della serata la mitologica Poularde de Bresse di cui, come per noi con il maiale, si recupera tutto cercando il miglior riutilizzo per ogni sua parte, anche quelle che certe consuetudini definirebbero di scarto. Anche per questo, ma anche perché l’Osteria da Oreste è avvezza a pratiche di reale sostenibilità, la serata è rientrata fra le anteprime della Tempi di Recupero Week, la settimana dedicata all’etica del non spreco vedrà coinvolti chef, osti, gelatieri, artigiani, vignaioli, bartender da tutto il mondo in contemporanea dal 3 all’11 febbraio 2024. Tempi di Recupero, fondata da Carlo Catani, promuove una visione consapevole del mondo contribuendo con le sue iniziative al raggiungimento dell’obiettivo socio-economico del cibo buono e sostenibile.

Quindi, filo conduttore della serata la pollastra, o pollanca, come lo chef Carlo Cracco ha suggerito di chiamarla se si volesse esibire un eloquio più forbito, anch’esso a tavola all’Osteria da Oreste per salutare il suo ex allievo Rossatto. In sostanza, una gallina giovane, o femmina del pollo, con una costellazione delle sue parti utilizzate per le altre pietanze. E come per il maiale non si butta via niente. 

Subito a ruota le salse, che da Georges Blanc non vengono mai realizzate con carne o pesce  “Nel nostro processo creativo, prima nasce la salsa e poi di conseguenza il piatto – racconta lo chef Matteo Rossetto – finché non si arriva alla salsa che ci piace, non iniziamo nemmeno a pensare se il piatto sarà carne, pesce, ortaggio. Una volta che la salsa è definitiva,  partiamo da lì con il resto degli ingredienti”. Quindi la salsa comanda su tutto, è il nucleo da cui si sviluppa il piatto, ma solo quando questo nucleo è perfetto. Sì, si può essere perentori in questa affermazione, a questi livelli non ci si limita al “rasenta la”, la concezione di perfezione è inconfutabile.

L’accoglienza è con un aperitivo vonnassien, andando alla scoperta di tipicità della regione di Auvergne Rhône-Alpes i sapori sono pieni e rotondi, con qualche picco acido o pungente, il burro, con le varie declinazioni aromatiche, seduce sempre.
Un’ostrica che riprende l’huître en gelée, grande classico dell’alta cucina francese, alla base crema di mascarpone con scalogno cotto nell’aceto, acqua di copertura per l’effetto gel, daikon croccante, zenzero in agrodolce, crema di dragoncello, una pluche di sedano, pepe di Timut agrumato, aceto allo scalogno.
Con i fegatini di pollo di Bresse, prima saltati in padella con il cognac si realizza una crema da spalmare su una tartelletta di cacao,insieme a una terrina di foie gras, il tutto glassato con una riduzione di Madera, uvetta sultanina cotta nel cognac, batonette di sedano acido.
Una rievocazione della bouillabaisse la salsa servita con crostini di pane cotti nel midollo, si parte da una spuma della nota zuppa di pesce piccante a cui si aggiunge dragoncello e aceto balsamico invecchiato, una preparazione che al ristorante Georges Blanc accompagna la triglia.
Di goduria palpabile le lumache cotte nel burro, a cui oltre al consueto prezzemolo si aggiunge lo zenzero che interviene con una nota di freschezza.

La focaccia di grasso di pollo è l’apologia dell’umami, “Quando la mattina si iniziano a lavorare i polli – dice Rossatto – tutto il grasso che viene tolto da sottopelle e si recupera, viene sciolto, come se fosse un burro chiarificato, rimangono alcuni pezzetti più tenaci, molto simili ai ciccioli di maiale, che ci mettono più tempo a sciogliersi e rappresentano la parte più sapida, quando sono sciolti anche questi, il burro è pronto. Viene fatto raffreddare e usato come se fosse strutto, in questo caso per una focaccia saporitissima”.
Insieme all’ottimo pane che sforna l’Osteria arrivano un burro alla alghe e pepe mignonette e un burro aromatizzato con tutte le zeste di agrumi recuperate, limoni verdi e gialli, pompelmo e arancia, rinfrescante da provare anche con la focaccia.

Il piccione Rossatto-style è un piatto di recente creazione, che parte da un must come il vitello tonnato, dove è l’unione dei due elementi, salsa e carne, nel loro complesso, che fa  la sua forza e la bontà è determinata dal fatto che nessuno deve prevalere sull’altro. Questa filosofia è traslata nel piccione, di cui viene servito il petto, con una rosa di cavolo rapa, fra dolce e salato. A parte, viene servita una salsa composta da maionese al coriandolo, con una riduzione di aceto all’interno, che la acidula leggermente, finocchio ammollato nel succo di limone, uova di luccio affumicate scoppiettanti in bocca e tonno, che riconduce nuovamente al vitel tonné. Si prende un petalo di cavolo rapa, insieme a una fettina di piccione, si intingono nella salsa per un unico boccone sfaccettato di dolcezza, sapidità, appena venato di acidità e affumicatura, con ludici scoppiettii nel palato. Un piacere totale, per noi preceduto dal racconto appassionante della preparazione, ma che a qualunque essere, appena sbarcato su questo pianeta che si fosse avventato sul boccone, avrebbe fatto esclamare nel suo idioma “Buonissimo!”
Il resto del volatile, fra cui le cosce, si riduce a sfilacci e va a farcire una pastilla fritta e croccante, creata esclusivamente per l’occasione , con la funzione di recuperare tutto del piccione, poiché la tradizione vorrebbe che si servisse solo il petto, con limone salato, miele, grattata di formaggio di fossa della Romagna

Piatto storico del ristorante di Vonnas, il branzino cotto per pochi secondi al forno, per farlo rimanere quasi crudo, in modo che finisca di cuocere una volta arrivato al tavolo, grazie alla temperatura della salsa e alla giusta acidità, che insieme al calore contribuisce alla cottura del pesce. Ad unirsi al burro, nella salsa, scalogno, erba cipollina, dragoncello, basilico, alloro, fiori di timo, cerfoglio, vino bianco e riduzione di pomodoro. 

Viene cotta sulla carcassa la poularde de Bresse, in passato da Blanc la cuocevano a crudo in forno e Matteo ha notato che quella carne si poteva valorizzare ancor meglio, con quel potenziale di fondente che solo polli così grassi possono avere. Quindi il giorno prima viene immersa in latte fermentato, per ammorbidire le fibre della carne e poi viene tolta la parte finale della carcassa, busto e costole, per fare in modo che il calore arrivi più diretto alla carne senza seccarla velocemente e i succhi si ridistribuiscano. E in effetti è una rara e strepitosa succulenza quella che si percepisce al gusto.

I contorni che l’accompagnano vanno da petali di zucca composti a rosellina; cipollina borettana che riprende la cugina francese Roscoff, con pesto di coriandolo e nocciole e una punta di tamarindo; una purea per metà sedano rapa montato come se fosse una maionese e l’altra metà burro nocciola, salsa al vino rosso con ginepro e midollo; albicocca in modalità maritozzo, farcita con una cipolla in composta, dolce e fondente, bacche di goji, pinoli e zest di lime. Purea di castagne cotte nel latte, salsa vegetale a base di scalogno, vino dello Jura, Madera e per dare una certa lucentezza alla texture viene aggiunto del midollo. Salsa fatta con tutto quello che non viene usato del pollo, cosce, alette, collo, ecc. rosolato, ridotto e bagnato con vino bianco, coperta con una riduzione di panna, condita appena prima del servizio, con terrina di foie gras fatto in casa, con champagne e aceto di vino rosso.

Una carne dalla consistenza suadente e dal sapore soave quella delle rane in persillade. Le coscette lavorate “comme en Dombes” quindi tipiche di questa regione della Francia orientale, a nord est di Lione, tra il Giura e il Beaujolais. Si tratta di rane di grandi dimensioni, molto carnose, che arrivano dalla Francia, impanate nella farina 00 e grano saraceno che crea la crosticina croccante in superficie una volta rosolate nel burro. Vengono fatte riposare, il burro di cottura viene recuperato, filtrato e messo nelle cocotte di servizio, spumeggiato con prezzemolo e aglio, le cosce vengono nappate nel burro con cui vale la pena fare una copiosa scarpetta.

L’animella di vitello alla mediterranea arriva accompagnata da un ragù di piede di vitello e una foglia di insalata su cui si appoggia la fraise di vitello, parte dell’intestino tenue dell’animale, simile alla nostra trippa (fraise non si traduce in fragola, come potrebbe sembrare, perché deriva dal francese antico fraser, spezzettare e amalgamare). Questa preparazione tipica della regione Auvergne Rhône-Alpes è uno stufato di piedi di vitello e fraise

Fa da ponte con il dessert una crème fraiche a cui si aggiunge una spuma di olive verdi e  due gocce di olio extravergine di oliva

Sopra la Pomme en l’Air, una patata d’aria leggermente dolce, al Cidre de glace, si appoggia una arlette finemente croccante, caramellata, che sostiene una sottile crème d’Etrez, la panna dell’omonima latteria cooperativa e a finire, una spolverata di praline di porcini secchi.
Dal primo assaggio il Soufflè des Îles al lime e frutto della passione catapulta in una dimensione onirica, a fare da spalla un Sorbet Rouge gorge. Ed è un momento di golosità estrema l’abbandonarsi a una delizia di tale sofisticatezza, mentre al banco dell’Osteria preparano il caffè con la moka.

OSTERIA DA ORESTE
Via Pio Massani 14
Santarcangelo di Romagna
T. +39 347 770 3624
T. +39 0541 207990
https://www.osteriadaoreste.it/


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