Paganella. Dove si riproducono gli orsi… ma anche le farfalle non scherzano #paganelladaurlo
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Sono passate circa due ore da quando siamo partiti. Destinazione La Cros sul Monte Fausior, sopra Fai della Paganella. Ivo, la nostra guida, insieme ai più frettolosi ci precede di una curva. Ci fermiamo per dare tregua ai quadricipiti intorpiditi dalla seppur lieve salita e vediamo questo.

Ecco cos’è la Paganella. E’ dove le farfalle amoreggiano. Mentre uccellini ridacchianti in un moto di voyerismo creano un armonico sottofondo. E una formica disorientata dall’imbarazzo corre sopra un sasso alla ricerca spasmodica di un rifugio appartato.
L’emozione rinvigorisce anche i nostri quadricipiti e proseguiamo spediti fra peonie selvatiche e maggiociondoli in direzione Croce di Fai a 1.400 mt, dove il  belvedere ha tutta la Valle dell’Adige ai suoi piedi.



Come in un dipinto del settecento, troviamo ad aspettarci tavoli apparecchiati di tutto punto e imbanditi delle più goduriose pietanze tipiche, accompagnate da vini raffinati. L’effetto è oltremodo chic, è la prima volta che godiamo di una vista straordinaria, dalla cima di una montagna, mentre ci viene servito un banchetto allestito alla maniera dell’Hameau de la Reine.

Non può mancare a darci conforto la carne salada, il salame di cervo, il Trentingrana insieme agli altri formaggi del luogo e una stuzzicante insalata di cavolo e patate per finire con un metro, e forse più, di strudel.

Il merito è tutto dello Sport Hotel Panorama di Fai che si è prodigato a far arrampicare dal sentierino che porta al punto più alto di questa vetta tutto il necessario per un impeccabile pranzo placé nel bel mezzo del bosco.

Questo dopo averci preparato, di buon mattino, ad affrontare la camminata con la loro concezione di trekking. Quello del benessere. Stretching dolce e massaggi con vibranti campane tibetane che infondono armonia ed equilibrio energetico a corpo e mente, praticati nel giardino bioenergetico, dove le piante  sono collocate nei punti più adeguati di questo angolo verde, in modo da diffondere i loro effetti benefici.
Tutto il parco dell’albergo è un tripudio di fiori e piante, studiate e ricercate dai proprietari, esperti botanici che curano personalmente l’anima verde dell’hotel.

Il pranzo in quota a Croce di Fai ci ha piacevolmente colto di sorpresa, ma già dalla cena della sera precedente avevamo intuito il tasso di coccole che lo Sport Hotel Panorama aveva preventivato per il nostro soggiorno. Dopo un hugo, sciroppo di fiori di sambuco fatto in casa, prosecco e menta, come aperitivo, abbiamo gustato: Pralina di ricotta  e schüttelbrot e concassé di San Marzano, risotto con faraona, tagliolini ai mirtilli, strudel di salmerino in crosta di patate, maialino alla senape, panna cotta al sambuco.

Qualche goccia di pioggia ci fa scendere i quattrocento metri di dislivello da La Croce a Fai  ad una velocità che le nostre ginocchia disapprovano e ce lo dimostrano mutandosi in una sorta di tenaglia che svanirà solo dopo alcune ore di relax trascorse passando da una vasca all’altra della spa dello Sport Hotel Panorama. Idromassaggio all’aperto, al chiuso, vasca con acqua marina, piscine e in un paio ore ci rimettiamo a nuovo.

Ripartiamo verso Molveno, ci aspetta la gita in barca sull’omonimo lago all’interno del Parco Naturale Adamello-Brenta. L’effetto meraviglia della visuale dalla spiaggia del Lido non ci basta.

In quel verde di un tono indescrivibile a parole vogliamo entrarci e partiamo in barca sempre più addentro a quello che ci sembra un prato liquido ai piedi delle Dolomiti del Brenta.

E’ il secondo lago del Trentino per dimensione e il primo per profondità, si è formato circa 4000 anni fa a causa di una enorme frana che ha schiacciato l’intera foresta che si trovava in quest’area. Percorriamo quasi tutti i suoi 4 chilometri di lunghezza fino ad affacciarci alla cascata, unica nota bianchissima in tutto questo verde di mille sfumature che ci circonda, e di nuovo il cielo gocciola.

Cerchiamo di spingere il motore del nostro barchino al massimo: piove e siamo esattamente al centro di un lago di più di 120 mt di profondità. Ma ci accorgiamo che qualche goccia che si tuffa in questo verde, rimasto intatto a dispetto del cielo grigio, non fa altro che aumentare il fascino della nostra gita. Rallentiamo e ci godiamo questo incrocio di acque, guardando il fondo, eccezionalmente visibile fino a quattordici metri, e raggiungendo piano piano l’attracco.

Saliamo verso il centro storico di Molveno, ci attende la terrazza dell’Hotel Ariston, il punto dove si gode la migliore vista dell’incastonatura del lago. E quasi a voler incoraggiare una giornata dal cielo cupo, ci viene offerto un aperitivo accompagnato da uno sfolgorio di fingerfood multicolore, frutto della spiccata giocosità dello chef. Difficile anche per lui però riprodurre la nuance del “verde molveno” che vediamo nitido anche da qui e sazia il nostro campo visivo.

La rassicurante tipicità del ristorante El Filò ci accoglie per proporci i punti saldi della tradizione gastronomica delle Dolomiti. Salumi, bocconcini di capriolo in umido, braciole di cervo, funghi e polenta. Tutta la simbologia culinaria della montagna, le cui porzioni generose, insieme alle bollicine autoctone e non da ultimo, all’acido lattico che inizia a impossessarsi della nostra muscolatura ci conducono sulla via della conclusione di questa intensa giornata.

Le nuvole che avvolgono Castel Belfort, a Spormaggiore, creano l’atmosfera perfetta per ascoltare il racconto di tutte le leggende che si sono avvicendate negli anni affiancando e a volte sostituendo la vera storia di questo maniero che risale al 1300.  Naturalmente si tratta di spettri dei vari regnanti, che si sono susseguiti, alcuni  affetti da attacchi di pazzia che si aggirano di notte fra le rovine e che sono alla ricerca di presunti amanti della moglie o forse che vagano esclusivamente per godersi il panorama.

Panorama ancora più intrigante se svelato fra le nuvole, ma molto attraente anche quando completamente ricoperto da quell’eterea ovatta bianca ondeggiante. Saliti sull’alta torre merlata, lo strapiombo sul bianco candido e infinito esercita una forma di disorientamento estremamente piacevole, sebbene sia assodato che lì sotto c’è da sempre  la Val di Non.

La mancanza di soffitti e tetto enfatizza ancora di più i fori delle numerose vecchie finestre che fungono da griglia per sezionare preziosi particolari della visuale del parco naturale Adamello Brenta, confinante con l’area del castello.

Sebbene in questa zona ci sia un castello, ci sono delle regine che hanno scelto di accasarsi qualche metro più in là. Sono le api regine dell’apicoltura Castel Belfort, a pochi metri dalla fortezza. Anche se qui risiede solo una parte dei milioni di api di questa azienda che raccoglie mieli in prevalenza monofloreali. Il resto è dislocato nelle specifiche zone del Trentino dove crescono le piante e le erbe che caratterizzeranno i sapori e i colori del prodotto dei vari alveari.

Dopo aver sbirciato fra le cellette di alcune arnie, con l’accortezza di non distogliere le api dalla loro operatività quotidiana, l’assaggio è d’obbligo. Prima però, incuriositi dal processo di raccolta e lavorazione facciamo una sosta per farci raccontare tutti i passaggi fino alla grattatura della cera dal favo. Dove tutte le celle sono state sigillate dalle api con la cera per proteggere il loro oro. Già l’affondo del cucchiaino in quei fluidi lucidi dalle varie dorature ci ingolosisce e iniziamo la degustazione dai più noti  sapori d’acacia e tiglio per arrivare al tarassaco, alla melata di abete e al miele amaro di corbezzolo.

Il Parco Faunistico di Spormaggiore è a pochi passi da Castel Belfort e dall’apicoltura, forse è per la vicinanza del miele che gli orsi si trovano così bene. Sì, qui bazzicano gli orsi bruni! Del resto siamo in piena “area orsi” e ci incamminiamo fra abeti e larici per arrivare all’ingresso del parco. Tre esemplari di orso alloggiano in settemila metri quadri di quest’area naturalistica assolutamente integra. Ma tutt’intorno almeno altri cinquanta di loro se la girano tranquillamente fra i boschi, ma senza troppi esibizionismi nei confronti degli uomini, che invece fanno di tutto per cercare di avvistarli. E a volte, anche se da lontano, ci riescono.  Chi invece ci stupisce in quanto a esibizionismo, sono i lupi che non solo vediamo, ma che si prodigano in una vera e propria sfilata davanti ai nostri occhi, mettendosi quasi in posa per agevolarci nelle foto. La filosofia del parco è quella della reintroduzione di animali che provengono da situazioni disagiate per ridare loro un ambiente dove possano esprimersi liberamente nella loro animalità. Come avvenuto qui non solo per orsi e lupi, ma per le linci, i gufi reali e le volpi.

Raggiungiamo l’agriturismo Filo d’erba a piedi dal centro di Fai della Paganella e dall’ingresso della proprietà si gode una vista su alcuni bassi pendii che ricordano quasi le colline toscane. La struttura è costruita con materiali naturali del luogo, ma proposti in una chiave contemporanea, in una nuova espressione della tipicità montana. Come le particolari pareti divisorie in cristallo, doppie, riempite di fieno. La cucina è giudiziosamente contaminata, ma con una predominanza di prodotti del luogo.  Gustiamo un salmerino marinato su caponata di zucchine, canederliotti al trenitngrana, tortelli al brurro di malga finferli e miele e un grande classico come la tagliata.

… e non dimentichiamo alcuni dei grandi vini che hanno accompagnato le nostre scorribande culinare.


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