Osteria Perillà a Rocca d’Orcia incontra La Peca. Nicola Portinari affianca l’ex allievo Marcello Corrado
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E' all'Osteria Perillà di Rocca d’Orcia dove hanno condiviso nuovamente i fuochi Marcello Corrado, chef residente, e chef Nicola Portinari, già allievo e maestro.


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Fra i vicoli ripidi di Rocca d’Orcia si sono incontrati nuovamente Marcello Corrado e Nicola Portinari. Il primo, tredici anni fa, fresco di Alma decide che a dare l’impronta iniziale al suo curriculum sia La Peca, due stelle Michelin di Lonigo, poco lontano da Vicenza, e da lì le loro strade non si dividono più in modo definitivo. Dopo un secondo ritorno, quattro anni più tardi e alcuni viaggi di lavoro fra Hong Kong e il Nevada, una nuova occasione per ritrovarsi la regala l’Osteria Perillà. Uno dei tre tasselli del progetto Rocca d’Orcia da vivere germinato da un’idea di Pasquale Forte che a metà degli anni novanta, visitando la Val d’Orcia, decide di ridare vita al Podere Petrucci, all’epoca abbandonato. Oggi si chiama Podere Forte, conta 278 ettari e nel 2008 ha ottenuto la certificazione biologica e successivamente la biodinamica, riconosciuta da Demer; si producono vini, olio extravergine di oliva, miele e frumento. A completamento della biodiversità, è stato introdotto anche l’allevamento di cinte senesi, vacche chianine, pecore Suffolk, oltre ad animali da cortile nutriti con foraggio e semi biodinamici. Il tutto avvolto da una visione che trancia qualsiasi compromesso per arrivare alla qualità. È qui che l’Osteria si approvvigiona di ortaggi, carni, olio, vino, miele praticando la strada dell’integrazione olistica, dove ogni elemento dialoga e riconduce al tutto. Una meticolosa analisi scientifica dei terreni, gli allevamenti di animali, l’autoproduzione dei compost, l’integrazione architettonica della cantina e l’ausilio delle tecnologie concorrono a creare un ecosistema autosufficiente e virtuoso, dove si conciliano lavoro dell’uomo e natura.
Oltre al ristorante, completano il progetto Rocca d’Orcia da vivere l’Emporio Riamà, dove si possono acquistare i prodotti del podere, lo Spazio Se, adibito ad esposizioni artistiche e convegni e un festival estivo che viene organizzato da qualche anno.
Con le sue numerose opere d’arte contemporanea che si pavoneggiano alle pareti, l’Osteria prende il nome dall’esito semantico di una richiesta di indicazioni di percorso “Per–il-là” ed esibisce una vista di notevole effetto sulle case costituenti il nucleo del piccolo borgo, che si è mantenuto intatto. Ai piedi della Rocca che dal 1000, per 200 anni, ha vigilato su tutta la Val d’Orcia rappresentando un punto strategico e inattaccabile della Via Francigena.
Marcello Corrado, già stellato Michelin, è da quasi un anno ai fuochi del ristorante e ricambia chef Portinari delle trascorse esperienze insieme, invitandolo a condividere per una sera il suo percorso gastronomico nella sua attuale cucina.
L’avvio di serata avviene all’aperto con l’aperitivo sotto le lanterne gialle della veranda di fronte all’ingresso dell’Osteria. Un’ostrica concava, si unisce all’anguria sopra una base di yogurt, con la complicità di basilico limone e caviale.
Nicola Portinari imprigiona un moscow mule sotto una pellicola di cellophane tesa sul bordo del bicchiere, che sostiene un cubo di salmone selvaggio marinato, patata affumicata e caviale. Mentre chef Corrado traveste la sua pappa al pomodoro da pomodorino ciliegino e nel finale vengono presentati dei croccanti bon bon fritti di mortadella e wasabi.

I tagliolini, con sugo all’amatriciana, escono dal sac a poche de La Peca, materializzandosi da un impasto fatto con metà capesante e metà calamari macinati, legati insieme dalla loro albumina, poi cotti in acqua salata come una normale pasta di semola.
Un estratto concentratissimo di carota e zenzero, creato dallo chef residente, completa con una energica verve il lombo di coniglio arrosto farcito con intercettazioni di sapidità data dai pistacchi, con animelle e tartufo.

Il comfort griffato Portinari prende corpo con gli spaghettoni tonno e cipolla, con ventresca, senza cipolla, ma con il porro e precedono il piatto di Marcello che racchiude i luoghi dove ha maturato le sue esperienze professionali e di vita. I bottoni di pasta cotta sono la sua evocazione della napoletanità, è la base del raviolo caprese che parte dalla pasta choux per essere impastata nuovamente con farina, un uovo, un po’ di burro e acqua, cotta sul fuoco, il ripieno è di baccalà in onore di Portinari che per primo gliel’ha fatto assaggiare, la carbonara a ricordo di Roma dove ha vissuto.

Dall’accentuata delicatezza il cobia, un pesce della famiglia della ricciola, “allevato in un ambiente freddo che favorisce il grasso” ci spiega Nicola “ma dove il continuo movimento non lo porta all’estremo e per questo mantiene una carne equilibrata con una pelle che diventa croccantissima”. Acutizza il sapore la crema di cappelunge e acidulano l’esito in papilla le creme di zucchine trombetta e gialle al limone.
Nell’ambito del progetto di auto sostenibilità, non può che arrivare dal Podere Forte il maialino di cinta senese con due salse diverse prodotte con la stessa pesca e il cipollotto cotto alla brace.

Precede il dessert la granita di anguria de La Peca che vira verso fragranze caraibiche grazie al latte di cocco.
Divertente la meringata con lamponi e gelato di lampone, di chef Corrado, vivacizzata dall’estrema freschezza di due bastoncini di meringa addizionati di caramelle Fisherman’s polverizzate.


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