Con l’etica ci si può divertire. La cucina di David Žefran chef del due stelle Michelin Milka di Kranjska Gora
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Lo chef del nuovo e unico ristorante due stelle Michelin sloveno all’interno dell’hotel Milka racconta come si diventa bistellati a poco più di un anno dall’apertura


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Quando si nomina Kranjska Gora, soprattutto per chi è nato prima degli anni novanta, riemergono i ricordi delle imprese fantasmagoriche di Alberto Tomba, il più grande sciatore italiano di sempre, con i suoi ottantotto podi, le vittorie di due slalom giganti e tre speciali guadagnati proprio sulle piste della località slovena.



Appoggiata al monte Forno, all’angolo in cui si incrociano i confini italiano e austriaco, fra le alpi Giulie e le Caravanche, questo caratteristico villaggio montano, di poco meno di millecinquecento anime e che ogni anno ospita la Coppa del mondo di sci alpino, si sta costruendo, accanto a quella sciistica, la reputazione di scintillante destinazione gastronomica. Grazie alla recente consegna da parte della guida Michelin delle due stelle al ristorante Milka, all’interno dell’omonimo boutique hotel sulle rive del lago Jasna, due laghetti smeraldo, uniti per un piccolo tratto, circondati da un sentiero panoramico che è una delizia per gli occhi sia d’estate che con la neve. 

Abbiamo intervistato lo chef e co-patron David Žefran, trentaquattrenne laureato in sociologia con otto anni di esperienza in cucine di medio livello e tre mesi di stage al tristellato Frantzén di Stoccolma. Nel video ci racconta come Milka sia un progetto di ospitalità a tutto tondo, che mette l’esperienza dell’ospite al centro di tutto e che il ristorante ha ricevuto la prima stella Michelin nel 2022, dopo tre mesi dall’apertura, quest’anno è arrivata la seconda e mentre scriviamo la The World’s 50 Best Restaurants comunica di aver inserito Milka nella loro prestigiosissima selezione 50 Best Discovery.

“Il mio obiettivo è creare una proposta gastronomica unica che evidenzi la biodiversità e la qualità dei prodotti locali – afferma Žefran – che poi, data la posizione geografica in cui ci troviamo, essere local per noi significa, nella pratica, trascendere i confini di due paesi come Austria e Italia. Prediligo comunque lavorare prodotti che trovo nelle vicinanze del ristorante, per me è una condizione che stimola la mia creatività, come l’utilizzo di prodotti dimenticati, o di tecniche che invece dovrebbero essere preservate”.
Come i biscotti Linzer, celebri dolcetti sloveni, ma anche austriaci e tirolesi, da una ricetta risalente al 1600, che lo chef propone come benvenuto, in versione salata, ripieni di un parfait di fegatini di pollo, pelle di pollo, crespino. O il salmone del Danubio pescato nel Sava Bohinjka a Bohinjska Bistrica, a un’ora d’auto dal ristorante, marinato a secco, al sale e servito con un condimento di peperoncini fermentati, uva spina in salamoia, pere, salsa di latticello, acqua di cozze, olio di verbena. Bagliori di acidità misti a dolcezza che attorniano una carne suadente. 

Nella sala vista lago, dove il legno naturale e il design pulito e lineare si uniscono nel nome di una raffinatezza informale, viene proposto un unico menu degustazione, aggiornato ciclicamente secondo la disponibilità dei prodotti, in un percorso che segue il corso naturale delle stagioni, con l’impegno tangibile di ridurre gli sprechi. Uno dei canapè di benvenuto ha una base di pasta fritta, da una ricetta tradizionale slovena, farcita con una emulsione di scorze di formaggio, quelle che vengono recuperate quando si preparano i latticini per la colazione, ricoperta da lamelle di carote, alcune fresche e marinate, altre cotte in burro noisette, albicocche fermentate mitigano la dolcezza con l’acidulo,poi olio al lemongrass, pepe di timut. Mentre dalle lische della trota arrostite si ricava un infuso che accompagna il pesce cotto in oliocottura poi affumicato al ginepro, lo accompagna una salsa al garum di trota, fatto con le teste di trota fermentate, daikon, cetrioli in salamoia, uova di trota, pinoli. 

Ciò che salta immediatamente all’occhio, parlando con i ragazzi è la compattezza degli staff di cucina e di sala, in cui si mixano pragmatismo, determinazione ed entusiasmo, ciò che compone la sana voglia di fare. Lo chef per primo, riesce a trovare la quadra perfetta fra idee fresche, inconsuete e consapevolezza etica, soprattutto nel dirigere come ci dice un ragazzo della sua brigata “dando l’esempio”. La chiave è questa. Il giorno del nostro arrivo ci ha accolto e descritto nel dettaglio genesi e visione del progetto Milka, si è poi dedicato alla preparazione del menu per una ventina di ospiti, con diverse uscite in sala, ai vari tavoli, ci siamo trattenuti fino a tarda serata ad ascoltare i suoi racconti sull’agricoltura slovena – David cura anche l’orto – per poi ritrovarlo di primo mattino, il giorno successivo, a preparare le colazioni. Eccolo qui il talento, null’altro che il sinonimo di tempra d’acciaio. 

Il menu conforta, diverte, stupisce, esprime una cifra basata su una capacità tecnica rigorosa che innesta nel percorso scossoni grondanti piacevolezza, il tutto inquadrabile in una ispirazione alpino-nordica disciplinata da valori di sostenibilità concreti. Fra i piatti che ci hanno procurato un sussulto una barbabietola rossa cotta al vapore, servita con una salsa di cipolla rossa e una crema di panna, grasso d’orso e olio di foglie di fico, completato da una generosa cucchiaiata di caviale Osietra. Ma anche una favolosa brioche, servita come portata,  spennellata di miele, semi di finocchio e anice, in accompagnamento un burro fermentato con erba cipollina, con degli stuzzicanti semi di girasole piccanti. 

Molto ben studiata la sponda liquida del menu, quando pensiero profondo e fruizione sbarazzina collimano alla perfezione, con una proposta eterogenea fra vini da vitigni autoctoni come Stift Admont, il furmint di Dveri Pax, le cui vigne sono in Slovenia e il vino viene prodotto nell’abbazia di Admont, la più antica della Stiria, alla birra estremamente luppolata come la NEIPA Sour Sister, al milk punch con cognac Pierre Ferrand, radice di tarassaco, melissa, latte. Per arrivare anche al caffè, non a chiusura, ma abbinato a una pietanza. Un caffè filtro di Banibeans, micro tostatore di Lubiana, che ha iniziato l’attività nel 2018 all’età di diciassette anni, la specie è un Kenya Kamvara lavato che nella modalità filtro esprime più liberamente tutti gli aromi.

Da sorseggiare con il cavolo rapa, grigliato all’hibachi per circa sei ore, poi tagliato sottile, marinato in una salsa ponzu in versione alpina con erbe di montagna infuse nella stessa salsa, cavolo nero croccante, latte caramellato, germogli di ginepro.  

A coordinare il servizio in sala, Lenart Plavčak, portentoso nella sua commistione di velocità, racconti, attenzioni e sorrisi che sintetizza così la sua concezione del lavoro di sala “la professionalità non è essere formali e crediamo che i nostri ospiti capiscano che siamo preparati sebbene si sentano tra amici”.

È una filosofia diffusa nell’offerta globale di ospitalità del Milka Hotel, sei stanze, fra cui tre suite con vista stratosferica sul lago, che riesce perfettamente a trasmettere il senso di un lusso attuale, consapevole dell’imprescindibille convivenza con l’ambiente. Per questo vi è grande attenzione nella scelta dei materiali e degli artigiani, prevalentemente sloveni, che creano le loro ceramiche con i minerali trovati nelle immediate vicinanze del lago Jasna, piatti, utensili e alcune posate sono realizzati con legno autoctono, saponi e creme sono tutti artigianali, come anche le pantofole, in feltro RPET ricavato da bottiglie di plastica riciclate.


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