Il pranzo domenicale della guest house di Massimo Bottura e Lara Gilmore fra brace, fumo e fuoco vivo, elementi fondanti della cucina della cheffe canadese
Il tempo incerto di una domenica estiva ci ha regalato una versione speciale di Tòla Dòlza, il pranzo della festa di Casa Maria Luigia al relais di Massimo Bottura e Lara Gilmore, alle porte di Modena. La saletta con gli oltre 5.000 vinili del padrone di casa ci ha accolto, per una edizione indoor, dopo la segnalazione di pioggia dalle previsioni. Quindi niente affaccio sul grande parco che lambisce la villa, per poi unirsi dall’altro lato all’orto e ai campi di grano. Ma abbiamo vissuto l’esperienza dell’Emilian Countryside immersi nella cultura musicale e nella collezione d’arte dei proprietari, dove l’allure di una casa dall’arredo estremamente ricercato ma familiare, toglie a questo luogo fino all’ultimo millimetro della patina di hotel. Per quanto di fatto si tratti di questo, ci sono dodici stanze e una dépendance, e la mattina viene servita una colazione improntata sulla più radicata emilianità. Ma la sensazione, fin da quando si procede lungo Stradello Bonaghino è quella di stare per arrivare a casa di Massimo e Lara e non in una struttura ricettiva.
Certo, la mera descrizione delle caratteristiche strutturali e di stile potrebbero far pensare a un racconto come tanti: sei ettari di parco, comprensivo di piscina e campo da tennis, che circondano una villa del ‘700. Che custodisce capisaldi del design e opere d’arte da far ammutolire i musei, di artisti come Ai Weiwei e Damien Hirst. Ma non è così.
Siamo di fronte al concetto di bellezza nella sua accezione più atavica e onnicomprensiva, ma soprattutto quella più leggera, che non ha necessità di elucubrazioni e nozionismi, che evoca quanto sosteneva in merito Umberto Eco. Il bello è una questione su cui aveva riflettuto per circa cinquant’anni, da quando si laureò in estetica nel ’54 a quando ne scrisse l’excursus storico in un saggio del 2004. Per poi accorgersi che avrebbe potuto sintetizzarne l’essenza ripetendo ciò che rispondeva Agostino su cos’era il tempo “Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Ecco, arrivando a Casa Maria Luigia tutti sanno cos’è la bellezza, lo capiscono perfettamente e non è necessario che riescano a spiegarlo. Lo sanno e basta.
Tutto viene presentato, e a sua volta percepito, con una tale levità, gaiezza e ironia che solo in questo modo si apprende la profondità della cultura a tutto tondo che emana questo luogo. Partendo da quella contadina, storica, gastronomica, che si intrecciano con le più preziose e alte espressioni dell’arte, dell’architettura e della musica.
Filosofia che si sintetizza mirabilmente nei due enormi gelati di ceramica, opere di Giorgio di Palma, che sbucano e gocciolano dalle coppe neoclassiche appoggiate alla balaustra del terrazzo al primo piano. Evocatori di una giocosità fanciullesca che secondo Bottura non si dovrebbe mai perdere, riconducibile al piglio di tutti i suoi progetti, che rappresentano un invito per tutti a fare lo stesso.
Un principio che viene riconfermato anche nel “Tòla Dòlza”, o meglio “Take it Easy”, sublimando dal dialetto modenese all’inglese. Quindi un inno al “polleggio” se vogliamo tradurre il “chilling” in slang bolognese. Un pranzo domenicale, aperto anche agli ospiti esterni, con un percorso culinario composto sull’approvvigionamento da allevatori e casari locali e costruito sui cicli dell’orto dalla talentuosa cheffe canadese Jessica Rosval. Trentaseienne con decenni di esperienze alle spalle, prima a Montréal, poi dal 2013 come chef de partie all’Osteria Francescana che al Maria Luigia imposta una cucina ardente di fiamme, brace e fumo. Ruotante tutta intorno al possente forno a legna posto all’esterno della villa da cui escono i panificati e i dolci della colazione e tutto il menu del brunch domenicale, dal benvenuto al dessert. Dopo soli due anni dall’apertura, Jessica ha già ricevuto il premio chef donna dell’anno dalla guida l’Espresso e si è già distinta per il suo impegno nel sociale. È direttrice culinaria di AIW (The Association for the Integration of Women) associazione modenese per l’empowerment delle donne immigrate fra i 25 e 35 anni. La cucina diventa mezzo di integrazione, un modo per far incontrare la cultura culinaria nativa di queste ragazze con quella italiana e locale.
Dopo l’aperitivo, servito in giardino sotto i secolari cedri del Libano, il via lo dà una focaccia fatta in casa, lievitata 24 ore, spennellata con un olio caldo di spezie che rilasciano i loro aromi nella pasta durante la cottura a legna. Da affondare in una sorta di hummus di mandorle di Noto, amare e dolci, che prima vengono tostate e affumicate con il legno di cedro e poi frullate con una goccia di olio d’oliva. Accompagnato da un olio e un pesto di foglie di cedro e spezie che aggiunge una balsamicità amarognola.
La ricotta del caseificio Rosola viene cotta al forno e laccata con uno sciroppo di rosa canina e aceto di rosa e servita con un miele aromatizzato alla rosa. In accompagnamento le zucchine cotte sulla cenere del forno creano quel concentrato di sapore che si abbina alla lieve croccantezza della superficie, ricoperta da erbette estive.
Una cozza risi e pisi take it easy, recita il menu. È la versione rivista, in questo caso con i piselli, delle cozze presentate ad Al Mèni lo scorso anno, raccontate dalla stessa Jessica nel video qui sotto. Le cozze, insieme al riso e al cotechino vengono ricoperte da una pastella croccante di piselli, a simulare la conchiglia. Da intingere nella panna acida al finocchio e rosmarino.
Il baccalà mantecato fa un passaggio nel forno dopo che è stato appoggiato su un fondo di pomodorini in salsa barbecue, da gustare con un cracker fatto a mano e sempre cotto a legna spennellato di melassa e timo.
Pancia laccata e il suo chowder. La pancia viene marinata 48 ore, laccata con sciroppo d’acero e poi affumicata per 8 ore. All’interno, a rappresentare la zuppa chowder, un budino di pane, con cozze e vongole. Il tutto da passare in un concentrato di sedano e acqua delle cozze e vongole prima di proporlo alle papille, o in alternativa tenere il ristretto come bevanda finale.
Short rib forever. Le costine di manzo vengono marinate per 48 ore, finite con salsa di senape e albicocche, per poi essere affumicate al legno di quercia, infine ricoperte di mais soffiato e servite su rafano e fiori di stagione. In abbinamento un pancake-tigella immerso nella salsa di cottura di senape e albicocche.
Gli amari precedono il dessert. Una successione di note amare che partono dal sorbetto di pompelmo, a cui si aggiungono quelle di radicchio, rucola, puntarelle, la nota di fumo della salsa al caramello bruciato, la freschezza della rosa e la pungenza dell’assenzio.
Pavlova Rosvalda con la meringa cotta a legna, l’acidità aggraziata della robiola e dei magnifici duroni sotto saba.