Vino in villa. Ecco perché bisogna smettere di chiamarlo “prosecchino”
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Qui una volta era tutto mare. Una volta si intende 65 milioni di anni fa. Ora invece ci sono  le colline di Conegliano Valdobbiadene, che ad una vista smodatamente fantasiosa sembrano delle piramidi ricoperte di corduroy verde smeraldo. Questo grazie a meticolosi paesaggisti come i viticultori,  che nella disposizione dei filari delle viti hanno creato uno scenario unico con una cura maniacale di ogni angolo e anfratto. Ed è solo uno dei tanti fattori che hanno favorito la candidatura di quest’area della provincia di Treviso a Patrimonio Unesco nel 2008. Fra gli altri, va sicuramente menzionato il protocollo viticolo avviato dalle nuove generazioni che credono nel futuro di una attività vitivinicola sostenuta da  prodotti a basso impatto ambientale, come ad esempio la vinaccia o i residui della potatura invernale che creano terreno fertile in modo naturale.

Il prosecco superiore nasce qui, nei quindici comuni collinari storici di quest’area del trevigiano, dove le vigne vengono accudite una ad una, a mano, perchè gran parte di questi pendii pendono del 70% e non è possibile utilizzare macchinari ma solo manualità e ore di lavoro. Ogni ettaro ne richiede seicento, sei volte più dei vigneti dove l’automazione è materialmente possibile e agevola la lavorazione. Le uve nascono fra i cinquanta e i cinquecento metri sopra il livello del mare, da vigne quasi tutte esposte a sud e a est, dove si captano meglio i raggi del sole, beneficiano di precipitazioni estive superiori alla media e, fra a gosto e settembre, di uno shock termico che arriva fino ai quattordici gradi.



Girovagando fra i vigneti si percepisce il valore storico di questi territori, a partire dalle stesse viti che in certe aree risalgono a ottanta, cento anni fa, tutte diverse una dall’altra, mappate e schedate dal Consorzio Valdobbiadene. Il mantenimento della biodiversità genetica avviene attraverso il prelevamento di piccole parti dalla pianta centenaria, dalla quale si ricavano le giovani piantine che in questo modo conservano e tramandano il bagaglio genetico dei vigneti.

Ogni zona si diversifica per la peculiarità del terreno, la boscosità e la pendenza dei versanti, elementi che conferiscono specifiche e diverse caratteristiche al vino. Il comune denominatore è sicuramente l’atmosfera intrisa di storia e spiritualità. Fra le vigne sbucano ogni tanto pievi e chiese, dall’architettura contenuta, ma ricche di preziosi affreschi conquecenteschi come la Pieve di San Pietro di Feletto o la Chiesa di San Vigilio, immersa nei vigneti e che sbuca piano piano mentre ci si incammina per lo stretto sentiero che la collega alla strada principale di Farrra di Soligo.

Composto dal vitigno Glera per un minimo dell’85% e per il restante 15% da vitigni autoctoni e internazionali, il Prosecco Conegliano Valdobbiadene si presenta nelle varie declinazioni a seconda dell’area di provenienza. Il Glera ha un risveglio in primavera molto precoce, per questo è molto importante che le tempaerature siano miti e questo è possibile grazie alle Prealpi che circondano le colline e le proteggono dai venti freddi del nord. La composizione del terreno poi è determinante per la sintesi dei composti aromatici, dal territorio di Feletto, dal colore rosso intenso, ricco di ferro si ottiene un fruttato molto armonico, nel Cartizze la friabile roccia di marna è ideale per vini floreali e sapidi.

La sosta prevista dal programma è al ristorante Da Tullio uno dei più bei belvedere sulle colline di Conegliano, ad Arfanta di Tarzo, dove la vista appagante non è solo sulle colline, ma anche sull’enorme camino acceso che ci accoglie all’ingresso, dove si stanno rosolando gli spiedini protagonisti del nostro pranzo. Ma dove gustiamo anche una gran varietà di finger food, crespelle agli sciopet (erbette autoctone) e alla fonduta di latte crudo. Per concludere con il tipico ciambellone, la fugassa, che solo un dilettante mangia senza prima inzupparla nel vino bianco.

La nostra escursione gastronomica della giornata si conclude con la cena alla Enoteca Veneta dove lo chef Riccardo De Prà ci conquista con l’ironia dei suoi piatti che abbiamo raccontato nel dettaglio qui.

Il motivo della nostra visita alle colline del Prosecco è il Festival Internazionale del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore che a maggio, da diciassette anni si svolge a Susegana nell’antico castello di San Salvatore, celebre anche per aver fatto da sfondo ai dipinti di Cima da Conegliano, maestro del paesaggismo veneto di inizio ‘500.

Insieme ad un gruppo di cinquanta giornalisti internazionali andiamo alla scoperta di tutti i segreti dello spumante prodotto simbolo dell’Italia, che l’anno scorso ha sviluppato un volume d’affari di 470 milioni di Euro. I produttori di più di 300 etichette, diverse fra loro per filosofia ed espressione territoriale, ci fanno conoscere più da vicino tutte le varie sfaccettature che contraddistinguono le diverse cantine. Per l’occasione, ad accompagnare i vini, alcuni prodotti rappresentativi dell’alta gastronomia come il  Culatello di Zibello Antica Corte Pallavicina e La Casearia Carpenedo, storici affinatori di Camalò di Povegliano, di cui assaggiamo il pluripremiato Blu ’61, un formaggio erborinato a pasta morbida affinato in Vino Raboso Passito Veneto IGT e mirtilli rossi.

Fra gli austeri saloni del castello di San Salvatore spicca un’atmosfera molto frizzante, soprattutto dopo diversi assaggi. Ed è inevitabile farsi affascinare dalle variazioni sul tema Prosecco Superiore Docg.  ANIMAE, le bio bollicine di  Perlage, unica azienda a produrre Prosecco biologico DOCG presente all’interno del Consorzio di Tutela del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene. Il Difetto Perfetto di Sorelle Bronca  ottenuto attraverso una rifermentazione in bottiglia, secondo il metodo classico ma senza sboccatura, dove il lievito naturale presente è indice di genuinità e salubrità. Lo IUS NATURAE di Bortolmiol: dolcezza e sapidità unita ad una buona freschezza e vigore gustativo per un vino che risulta molto persistente.

Il Private Cartizze non dosato 2011 di Bisol, rifermentato in bottiglia, fa parte di una collezione di 1769 bottiglie numerate. La rifermentazione in bottiglia rappresenta la strada più interessante per esaltare i tratti distintivi del Cartizze. La particolarità dello ZAN dei Fratelli Bortolin è di avere un bassissimo contenuto di solfiti e quelli presenti sono di origine naturale. Alla cantina Drusian ci soffermiamo sui loro capisaldi: un finissimo Cartizze e un Valdobbiadene Superiore Prosecco Docgl dalla freschezza dinamica. Note fresche e fruttate, ma sommate a sfumature di “crosta di pane”,  tipiche del contatto con il lievito, rappresentano le tipicità di Antico, il rifermentato in bottiglia di Case Bianche. Insignito dei tre bicchieri del Gambero Rosso, il Vigna la Rivetta Villa Sandi è intensamente fruttato con evidenti note di mela golden, macedonia di frutta esotica e agrumi con una nota floreale che ricorda i fiori d’acacia e il glicine. “Il frizzante col fondo come si faceva una volta” così la cantina Màlibran ci presenta Sottoriva, il rifermentato in bottiglia senza solfiti aggiunti. Nell’epoca in cui la tecnologia non era ancora presente nel processo di spumantizzazione, veniva aggiunto il lievito alla bottiglia di Prosecco che veniva poi messo a riposo in cantina. Dopo qualche mese, i lieviti trasformavano gli zuccheri residui in bollicine e il vino era pronto da gustare con i propri lieviti di rifermentazione, che rimanevano nel fondo della bottiglia.


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