Mauro Uliassi, Ristorante Uliassi di Senigallia, il Lab 2018
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Personalizzato con otto portate in più, fra pesce, selvaggina e sperimentazione appassionata lo chef del Ristorante Uliassi di Senigallia ci descrive come si originano le sue idee e come le realizza.


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Leggi l’articolo aggiornato al LAB 2019
“Quale vi è piaciuto di meno?” così, dalla porta a spinta della cucina, incede verso di noi Mauro Uliassi riferendosi alle sedici portate, appena degustate, di un LAB 2018 dai picchi senza pari. Le sue parole disintegrano ogni aggettivo riferibile a lui e alla sua cucina. Perché l’alto si raggiunge sempre e incondizionatamente senza certezze, non ci sono altre regole. Uno studio ossessivo delle materie, un lavoro energico e battente per ottenere di più, per avanzare, per migliorare ciò che già rasenta l’optimum, dove lo chef della Banchina di Levante di Senigallia si impone di stanare sempre margini di perfezionamento.
Tale preziosità si riassume in quella sua domanda, posta a noi commensali a fine pranzo, ed è proprio in quel “meno” che si legge la sua levatura.
Fra i luoghi di ristoro di maggior classe ed eleganza del nostro paese. La luce azzurra del mare appena filtrata dal lino bianco e leggero delle tende che appena sfiorate dalla brezza si adagiano fra i vasi di Gaetano Pesce. La boiserie avorio come l’interno di una imbarcazione d’antan accoglie volumi d’arte e cristalli. Tutto converge armoniosamente nell’obiettivo di far stare bene senza eccedere in svenevolezze.
È un LAB customizzato, dove lo chef ha aggiunto altrettante portate alle 8 canoniche previste dalla carta.
E chi meglio di lui può raccontarcelo



L’accoglienza con il loacker ormai è un rito, arriva il wafer di foie gras e nocciole, la finta oliva all’ascolana, il crostino con alici e tartufo, accompagnati dal cilindrino rosso del Kyr Royale.
Il corredo dei panificati avanza con il pane al lievito madre, l’integrale, con i semi, la pizza al formaggio, i crackers ai semi di lino tostati, come sempre da gustare con l’irrinunciabile burro di mare.

E il mare parte irremovibile con i gamberi rossi dello Ionio, alghe croccanti, una salsa di teste del gambero e fingerlime.
Il pancotto è divenuto un piatto simbolo del LAB, con l’azzeccata intesa fra la mandorla, presente in latte e frutto fresco, e ricci di mare, mediati dal pane.
La creatività nel LAB affiora dal concetto base di elevare materie, o parti di queste, non avvezze ai tavoli nobili, innalzandole ad uno status da alta cucina. Le ali di rombo, la parte esterna di solito utilizzata per fare i brodi, arriva al tavolo con un battuto di olive verdi e la parte interna del nocciolo dell’oliva, un semino che una volta tostato ricorda la grue del cacao ed è leggermente amaro. Accanto una salsa tzaziki all’arancia.

Nella inarrivabile minestra nera fredda, le seppie giovani non vengono lavate ma vengono solo private dell’osso, vengono frullate così, sporche, in una salsa densa a cui l’aggiunta di fasolare e gamberi crudi consolida la marinità, mentre elementi erbacei come l’avocado e le coste di lattuga, danno acquosità e freschezza e l’estratto di tamerici accompagna il palato lungo la costa attraversata dall’arietta salmastra.
Arrivano fusilli e ciabattoni insieme, due paste diverse che vivacizzano la masticazione, con lardo e polvere di polpo. Il lardo è in realtà polpo, lasciato per due giorni in camera di lievitazione a temperatura controllata di 33°, la carne del mollusco così si asciuga, si comprime, viene poi arrostito in padella e successivamente congelato a -30°. Poi spellato, privato della parte in superficie, quella caramellata in padella, che viene ulteriormente essiccata e frullata per ottenere la polvere che finisce il piatto con una nota di tostatura. Tagliato molto sottile riproduce una consistenza che è esattamente quella del lardo, soprattutto se assaporato con un chicco di sale grosso e rosmarino. Qui viene appoggiato sulla pasta insieme alla polvere tostata e ad un rosmarino particolarmente aromatico, impollinato dalla lavanda.
La guancia del rombo viene fritta e servita in saor, quindi con cipolla, aceto, vino bianco, pepe, alloro, ginepro. Si parte con forchetta e coltello dalla parte centrale per poi proseguire, come consiglia lo chef, piluccando con le mani ciascun ossicino, gustando l’aromaticità sfaccettata del condimento veneziano con il gusto intenso che solo la testa del pesce racchiude. A chiusura, riceviamo un cubetto di mela osmotizzata all’alloro per dare freschezza al palato.

Un punto di riferimento del LAB è il Mare dentro, le interiora del pesce, trippe di baccalà, trippe di rana pescatrice, cuore di rombo e fegato di seppia, lavorate separatamente per mantenere ciascuna il proprio sapore e poi riunite nel piatto e stemperate dalla freschezza delle erbe.
Le lumache dalla cottura perfetta, sono rinfrescate da un gelato alle fave ed erbe e da un’acqua di conditella, quella che solitamente rimane nella ciotola dell’insalata, grazie a sale e aceto che incitano l’uscita dei liquidi dai vegetali e che richiama inevitabilmente la scarpetta.
L’ultima portata di pesce è una corvina alla griglia, servita con una salsa di vino bianco, estratto di mandarino, buccia di limone, zenzero, basilico, con spugnole che aggiungono terrosità e amaro a contrasto con i cubetti di pesca.

Le marchigianelle aprono la parata dei piatti di carne, tagliatelle dal morso vigoroso, vengono condite con rigaglie di pennuti da cortile, viene aggiunto il pomodoro, come nella ricetta tradizionale, ma in riduzione, con chiodo di garofano, che aggiunge un sapore agreste, amarognolo e aspro.
Con il colombaccio arriva l’effetto wow, uno di quei piatti che adori o odi, dalla potenza sciamanica, un crudo tout court, succulento e veemente nel suo fondo, con una spinta balsamica data da un estratto di eucalipto.
La lepre in salmì dalla prospettiva di Uliassi si unisce al sapore amaricante della carbonella. Una oliva autoctona che viene cotta sotto la cenere, frullata priva del nocciolo, per ottenere una salsa che viene mescolata ad un pane al nero di seppia che si trasforma in un croccante di accompagnamento della lepre.

Il primo dessert è di cipolla rossa, osmotizzata alla ciliegia immersa in un succo di Sangue di Morlacco Luxardo, uno cherry alle marasche, e una granita di lemongrass. Un ottovolante di acidità rimbalzante su cuscinetti di dolcezza vegetale.
Un sedano profumatissimo, ghiacciato viene grattugiato sopra una base di squacquerone, spolverizzato con camomilla e polline.
A contorno del caffè cubetti di cioccolato bianco farciti da un gelato di erborinato, gelatine al limone, meringhe ai capperi, i mitologici croccantini frizzanti e cubetti al cioccolato con una goccia di Fernet.


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